L’uomo che parlava al vento

https://i0.wp.com/img99.imageshack.us/img99/9855/triestepw3.jpg

Sfogliava il fascicolo degli accantonati della settimana con un’inedita serpeggiante curiosità negli occhi di un chiaro celestino che tanto piacevano alle sue stesse sottoposte.

Quel mattino dal clima pungente di una primavera che tardava a giungere, lo aveva trovato riverso sopra i fogli del suo quadernone con anelli.

La bocca costretta ad un pronunciamento forzato delle labbra ed il mento arretrato come fosse immerso in un bacio sospeso che mai avrebbe scoccato.

Lo sguardo dapprima ansioso di ricercare tra le righe e le pagine continuamente torturate da dita robuste, callose, mai sottratte a lavori umilmente gratificanti, seguitava ora a scorrere una facciata particolare del foglio davanti a lui; il paragrafo con protagonista Michele Borromeo.

Da quando un anno addietro era giunto a Trieste dalla sua amata Sicilia prendendo il posto vacante di commissario di polizia, Vito Cammarata aveva scorto tra gli accantonati il nome di quell’uomo uno svariato numero di volte.

Era stato costretto a non approfondire mai il suo caso oltre la normale amministrazione, sempre travolto da più urgenti interpellanze e problematiche che richiedevano comunque un rimedio immediato.

“Una scusa per ingannare se stessi..” considerò tra sè e sè. In realtà, in quasi dodici mesi, il tempo lo si poteva trovare per casi ritenuti di un qualche minimo interesse.

Aveva permesso alle dicerie del commissariato di anteporsi al senso del dovere.
Per comodità, per rispetto verso poliziotti navigati, per noncuranza.

«Borromeo…? Micheluzzo è un uomo che parla con il vento!… Gli diciamo sempre che il vento non ascolta, noi…» gli rispondevano gli interpellati nascondendo a fatica una risatina denigrante più per rispetto dell’ufficiale dinanzi a loro che dell’uomo di cui parlavano.

Già quella sarebbe stata una ragione sufficiente a spingerlo ad approfondire il caso, si disse valutando la sua tardiva reazione.

Per fortuna una della argomentazioni principali ad impedirgli di svolgere il suo lavoro era andata a decadere, ed il commissario disponeva di qualche giorno di tranquillità tra le pratiche opprimenti degli ultimi mesi.

In fondo, il fascicolo che teneva tra le mani, se lo era fatto preparare esattamente per quella specifica spiegazione non amando il mezzo elettronico fornito dagli onnipresenti computers.

Giunto di buon ora dietro la sua scrivania d’ufficio, come era solito fare, disponeva ancora dell’intera giornata per dedicarsi alla questione dell’uomo che parlava al vento.

Non era vicino alla sede di polizia. E per raggiungere la sua abitazione sarebbe stato costretto ad attraversare tutta Trieste dirigendosi verso le colline.

Questo gli avrebbe richiesto una discreta parte di tempo soltanto per arrivarvi e tornare indietro. Altra motivazione che aveva sempre spinto nel vuoto le labili passate iniziative.

Cammarata però era un uomo che manteneva gli impegni presi quando decideva di assumerseli.
E non avrebbe lasciato cadere negli accantonati l’ennesima telefonata fatta da Borromeo in commissariato.

Lo aveva incrociato soltanto un paio di volte durante quei mesi (nella decina totali in cui si era presentato), mentre lo stesso veniva spinto dai gendarmi di turno a far ritorno a casa. Che presto qualcuno si sarebbe occupato del suo caso.

Ma mai nessuno lo aveva fatto, promettendo il niente nella consapevolezza di farlo.
In ambedue le occasioni gli era parso un uomo disturbato, inquieto.

Viveva solo in una sperduto casolare dei colli triestini e, seppur non fosse considerata una persona pericolosa, veniva evitato dai suoi stessi concittadini.

Troppo assorti nella loro quotidiana normalità per prestare attenzione ad una ostentata creatività mentale.

Il poliziotto che aveva ricevuto la telefonata la sera precedente, si era detto in qualche modo sorpreso
«Il solito vecchio mattacchione che vede gli spiriti dei boschi! ..Ma stavolta, invece che aver paura come dice sempre di avere, sembrava persino… contento! Voleva avvisarci di stare tranquilli… che aveva risolto tutto lui. E non ci avrebbe più dato fastidi. Che matto….».

Il commissario Cammarata diede le disposizioni ai suoi uomini per il resto della mattinata.

Non disse ad alcuno dove fosse davvero diretto. Conoscendoli sapeva che avrebbe alimentato soltanto delle inutili chiacchiere di cui non avvertiva bisogno.

Di corporatura tozza e robusta ma con un’agilità quasi inusuale per i suoi quarantacinque anni suonati passati dietro le scartoffie di ufficio, salì sull’auto per recarsi all’abitazione del Borromeo.

Costeggiò per prima la parte della cittadina che dava al mare regalandosi alla vista un paesaggio rinomato e ricco di suggestioni.

Tipico dei paesi che per un disegno preciso della mano umana e della stessa natura donano acqua e montagna nel volgere di uno sguardo.
Superò la zona del vastissimo porto trasbordante di attività commerciali.

Cuore dell’economia triestina.
Sfiorando Sgonico e la sua Grotta Gigante, caratteristiche della zona carsica generosa di attrattive.

Quindi svoltò verso il Monte Lanaro e la sua Riserva Naturale, colma di aree collinari e boschive.

L’abitazione di Michele Borromeo si trovava nella parte meridionale. Tra vaste zone coperte dai pini neri, gatti silvestri e ricci europei.
Nel luogo veniva segnalata anche la presenza di alcuni orsi bruni e degli sciacalli.
“Un paradiso per naturalisti” meditò il commissario.

«Michele… Michele… sono il commissario Cammarata… Michele…»
annunciò a gran voce parcheggiando l’auto al termine della strada percorribile e costringendosi a quindici minuti di cammino prima di giungere in vista del casolare in legno.

L’abitazione enunciava una sua modesta dignità racchiusa tra sasso e quercia, sotto un corto spiovente pergolato accerchiato da rampicanti.

Non sentendo risposte, l’ufficiale di polizia si costrinse ad entrare trovando, con sorpresa, l’uscio schiuso.
L’arredamento interno, privo di inutili orpelli e ridotto all’essenziale, si presentava vuoto di presenza d’uomo.

Non riscontrò tracce di effrazione. I piatti riposavano sulla mensola al pari delle pentole da fuoco. Il gas chiuso, come in previsione di un’assenza prolungata. Il camino chiuso dai parapetti in ferro a consolidare l’ultima teoria.

L’entrata principale, formata da un corto corridoio, dava sul salone che fungeva da cucina e camera da soggiorno principale.

Sul lato destro una ripida scala dai gradini in frassino conduceva alla camera da letto, da cui nessun suono proveniva. Il commissario fece una rapida ed accurata perlustrazione visiva della casetta, seppure l’impressione dominante di abbandono stesse già comodamente riposta nei suoi pensieri.

Finchè decise di dedicarsi al biglietto già adocchiato appena entrato e bloccato da un vaso al centro del tavolo del soggiorno.

Era un messaggio lasciato lì dallo stesso padrone di casa. Riconobbe la particolare calligrafia già veduta sui rari rapporti compilati in centrale e le cui copie giacevano allegate al fascicolo degli accantonati.

«Finalmente…. il vento mi ha ascoltato!»
Lesse. Rimase per qualche istante con il foglietto tra le dita ed estrasse il cellulare per chiamare i suoi uomini.

Michele Borromeo avrebbe infine goduto dell’attenzione che meritava. Per la prima e ultima volta………..

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73 risposte a “L’uomo che parlava al vento

  1. Questo racconto dal sapore amaro, stimola una profonda riflessione…

    “Troppo assorti nella loro quotidiana normalità
    per prestare attenzione
    ad una ostentata creatività mentale”.

    Questa parte mi ha colpita
    più di tutte le altre.
    Se solo qualcuno avesse davvero ascoltato…

    “Gli diciamo sempre che il vento
    non ascolta, noi…”
    A quanto pare neanche le persone
    si ascoltano tra loro.

    Un bacio ^_^

  2. volevi un commento… quindi preparati:
    che diavolo di fine gli hai fatto fare a montalbano mio?!
    tra vent’anni finrà a trieste? tozzo e appesantito?
    marrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrriaaaaaaaaaaaa!
    wè…e non te la dò mica più la prova d’amore!
    heheheeheheheheheheheheh

    dimenticavo… 😉

  3. @troppogenuina

    Primo; Montalbano, anche se fosse, mica è tuo ma patrimonio della Sicilia.
    Secondo; mi pare che il suddetto sia già adesso un poco “tozzo”.
    Terzo; Ti sfido a creare un personaggio poliziesco che non ne richiami uno già esistente.
    Quarto; costui chiamasi Cammarata, ed una vera sicula dovrebbe carpirne l’essenza del nome…
    Quinto; “non so perchè… perchè.. sono fatti miei!”
    Sesto; non concedo prove d’amore senza lauto compenso degno di un italian gigolò!
    Mettersi in coda, please…
    Miiiiiiiiiiiii…..
    ;-P

  4. Chissà se il protagonista è un uomo che ama la solitudine o è semplicemente un solitario?

    Quando si è soli o solitari, comunque, poco importa, si parla con il vento, con le stelle, alla natura, agli oggetti inanimati o meno.

    la traccia lasciata suona come una richiesta di aiuto…
    interpretazione del tutto personale…

    Guarda che salto di qualità non significa che prima scrivevi fetecchie
    O_O

    *sorrido*

  5. @goodnightmoon88

    E’ una visione che apprezzo, la tua.
    Il piacere che ricavo nella lettura di un racconto è, per quanto possibile, la libera interpretazione. Spero di riuscire a trasmettere questo anche nei miei.

    Non sei la “zietta” ‘moon_ella..
    lascia risponder lei (se ne avesse voglia)
    ;-P
    (inoltre, se noti, alla fine della mia risposta trovi la faccina con il sorriso che lascia intendere una voluta e sterile ironia… ;)….
    ..)

  6. hahaahahahahahah
    imbrosatore!!!!!

    stamattina mi chiedesti la prova d’amore!

    quando vengo sù ti faccio una pernacchia! hehehehehehe altro che caffè!!!

    il mio inteso come…siculo! heheheeheh
    e poi io ci parlo ogni sera, quasi, con montalbano… tu no!
    prrrrrrrrrrrrrrrrrrr
    :*

  7. Certo che non sono la zietta… sono moon-ella ma la zietta va trattata con rispetto… il massimo O_O
    come vedi alla fine del mio commento c’era la faccina e allora come la mettiamo? le faccine sono molto ambigue a volte… è la frase che conta in rete, perché il tono non si sente purtroppo, altrimenti non nascerebbero stupidi equivoci…stupidi
    e poi che è diventato il mio blog un cimitero niente più immagini??? aohhhh
    vabbè ci pensa La stupenda e colta mariaStrofa
    tzè

  8. Ciao Keypaxx!! Premesso che sono d’accordissimo con D3SY e goodnightmoon88 per quanto riguarda i commenti, debbo dire che vedere qui la foto di Trieste mi ha fatto venire un tuffo al cuore… un weekend intenso, una città bellissima, semplice e piena di cose da scoprire, tanti ricordi di poche ore, l’inizio della fine, e forse un nuovo inizio.
    Non so perché ma mi colpisci sempre sul vivo. Grazie e buona serata per oggi, buona giornata per domani! :-*

  9. @goodnightmoon88

    etimologia delle faccette:
    ;-D = faccetta che ride facendo l’occhiolino complice.
    O__O = faccetta stralunata che può intendersi anche come giudizio perplesso su una castroneria scritta.
    In ogni caso, quando scrivo seriamente sui commenti, lo si capisce.
    Se ho qualcosa da chiarire di importante lo faccio in privato.
    Poi è ovvio che in un testo non si può intendere l’umore serio od ironico di chi scrive. Specie se, spesso e volentieri, si è costretti a dare risposte in fretta.
    Per il rispetto sono d’accordissimo con te.. è una cosa moooolto importante che va concessa.. a TUTTI!
    Smmmuackkk
    ;*
    P.S.
    Sono stupendo anche io.. sotto, sotto, sotto, sotto, sotto…. 😉

  10. @Yaila

    Trieste ha un fascino suo particolare che purtroppo, per ora, conosco solo nelle descrizioni.
    Lieto di “colpirti”; è l’ambizione degli scrittoruncoli. Ne sarei più lieto se fosse per emozioni perlopiù positive, comunque.
    Grazie a te per leggermi.
    Un bacio
    ;*

  11. i veri artisti amano la solitudine, struggente a volte difficile e alienante, non sempre fisica, spesso emotiva…la pazzia, la convivenza con le molteplici personalità a volte bastano…
    ma i VERI artisti…come battiato… lo vidi l’altro giorno a piazza teatro massimo 😉 come sempre era… solo!

  12. @Asaperloprima

    Hmmmm… sembra quasi la mia descrizione ^__^
    ..abito in una casa di collina, userò la macchina tre volte al mese
    con duemila lire di benzina scendo giù in paese
    e le lucertole attraversano la strada
    vanno veloci ed io più piano ad evitarle..

  13. E’ un racconto che ti lascio quel nn so che di triste… a volte basterebbe così poco per aiutare qualcuno… e invece le persone hanno paura di quello che nn conoscono, e nn credono mai che ci sia una visione della vita diversa dalla loro.. è per questo che emarginano chi esce dal coro etichettandolo come “matto”. Io ci credo che parlava col vento…
    Bellissimo!!! come al solito grazie!!!

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