Cambiare le cose

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Distruggere fa parte del processo creativo,
perciò bruciare i soldi è una provocazione.
Vogliono vedere che cosa succede a sfasciare il mondo,
vogliono cambiare le cose.

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In Alaska c’è un medico che…

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Un medico tra gli orsi è un prodotto televisivo che narra le vicissitudini di un giovane medico ebreo newyorkese costretto ad adattarsi per quattro anni alla vita rurale di Cicely, in Alaska. La diversità tra Cicely e la metropoli americana non consiste solo nelle apparenze, ma in un tessuto di umana quotidianità che sfiora l’incredibile: fantasia, inconscio, citazioni cinematografiche, situazioni oniriche, colonna sonora ricca e variegata. Joel Fleischman esercita la professione di medico tra personaggi caratteristici e affascinanti che pescano a piene mani tra le novelle di Castaneda, il realismo di  García Márquez e la letteratura russa. Troviamo la fascinosa Maggie; pilota d’aereo che instaura un rapporto di odio-amore con Joel, Chris; ex detenuto e dj radiofonico che trasmette filosofia e musica, Maurice; ex astronauta milionario che “cattura” Joel a Cicely e tanti altri in un cast davvero ricco e assortito.

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Un medico tra gli orsi è un serial che gode di un successo inaspettato arrivando a conquistare premi come i Golden Globes e gli Emmy Awards per un totale di sei stagioni televisive. Rai 2 prima, Canale 5 e Rete 4 poi ne decretano un successo di pubblico anche in Italia dove però, ad oggi, è stato raccolto solo il cofanetto della prima stagione in DVD. Buona parte del successo va attribuita non solo al cast che riesce ad offire uno spaccato umano sensibile e credibile nonostante le situazioni surreali, ma anche ai creatori Joshua Brand e John Falsey che coltivano in ogni episodio la loro visione spirituale ed eclettica del mondo. 

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Sarà un essere nuovo

“…Signori lo possiamo ricostruire…” E non mi riferisco all’universale lego e neppure ad un puzzle articolato. No, la citazione che apre questo post è presa direttamente da un serial televisivo, perlopiù dimenticato e che molti leggendo queste righe non avranno avuto la fortuna di vedere:

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L’Uomo da Sei Milioni di Dollari, un classico fantascientifico dei tardi anni settanta replicato in Italia anche negli anni ottanta.
“Steve Austin, astronauta, un uomo vivo per miracolo: signori, lo possiamo ricostruire. Abbiamo adeguate conoscenze tecnologiche. Esiste attualmente la possibilità di creare il primo uomo bionico. Steve Austin sarà un essere nuovo, diverso dagli altri” – “Migliore?” – “Si, più forte, più veloce.”

Con queste parole prendevano il via tutti gli episodi della serie (che ha come protagonista Lee Majors) e che ruotano attorno alla figura di Steve Austin, pilota collaudatore NASA,  sopravvissuto a un incidente causato da un veivolo sperimentale. Su di lui viene effettuata la prima ricostruzione bionica d’avanguardia che mira a sostituire gli organi danneggiati. Intervento costosissimo, di appunto sei milioni di dollari (negli anni settanta) che gli fornisce braccio, occhio e gambe bioniche con cui diviene a tutti gli effetti una sorta di super-uomo.
Steve diventa un agente dell’OSI (organo che ne ha finanziato il progetto) ed è costretto a lavorare in pericolosissime missioni fuori dalla portata di qualsiasi altro. All’ottima serie, composta da ben cinque stagioni, vengono affiancati anche sei film TV e ispirerà la produzione di un altro serial strettamente legato a questo: La donna bionica.
La sigla della versione italiana è “Se” una chicca interpretata da Nino Buonocore.

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Fidati di me! Io so quel che faccio!

Con la “rassicurante” frasetta che titola questo post si presentava al pubblico uno dei personaggi televisivi più sopra le righe mai visti: l’ispettore Sledge Hammer di Troppo forte!


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Scimiottando i polizieschi americani e prendendo spunto nel nome del più noto “Mike Hammer” e nei modi, resi caricaturali, dell’ispettore Callaghan di Eastwoodiana memoria, Sledge Hammer (martellone) risolve in modo sbrigativo e spesso goffamente inadatto casi che sarebbero di normale routine. Spalleggiato dal fedele tenente in gonnella Dori Doreau e sotto gli ordini, ignorati, del Capitano Trunk provoca disastri inconcepibili. Legato morbosamente solo alla sua pistola (una 44 magnum che tiene sotto il cuscino del letto) è disposto a mettere in campo qualsiasi mezzo (bazooka compreso), sparando tra la folla, per fermare il crimine. Emblematica è l’ultima puntata della prima stagione del telefilm dove, con la canonica frase “Fidati di me! Io so quel che faccio!” tenta di disattivare un ordigno nucleare… facendolo esplodere.

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Molto spesso le trame rifanno il verso a film di successo, stravolgendone il contenuto e mettendo l’attore principale David Rasche sotto la luce di poliziotto psicopatico.
Questa serie, ogni singolo episodio della durata di 25 minuti, è trasmessa per la prima volta in Italia su Italia 1, ed è ripresa tra il 2006 e il 2007 su La7. Le stagioni televisive sono due per un totale di 41 puntate trasmesse, per quanto mi è dato a sapere, interamente anche nel nostro Paese.
Troppo forte! è un telefilm che, come ironia, ricorda lo stile di Leslie Nielsen ma con tocchi di humour più nero ed esaspera gli stereotipi del genere con risultati, nella maggior parte dei casi, molto apprezzabili e da vedere.

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..il più bel complimento..

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Qual’è il miglior complimento che una donna possa ricevere?

In un momento di grande imbarazzo.. sei bellissima detto dolcemente…

Mmm…
sei stupenda credo sia una cosa meravigliosa da dire.

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"Sei veramente intelligente"
detto con sguardo serio, specie se lei è bionda…

Non ho mai incontrato una persona simpatica e dolce come te… sei speciale…

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Voi umani…

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«Come distinguete il bene dal male voi di K-Pax?»


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«Ogni creatura dell’universo distingue il bene dal male!»


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«Voi umani…»

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«…Talvolta è difficile capire come abbiate potuto sopravvivere!».


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Prigioniero dei numeri

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Un serial televisivo che ha riscosso un successo tale da diventare autentico cult ancora oggi è Il prigioniero. È un telefilm interpretato e creato da Patrick McGoohan che per caratteristiche ha ispirato persino diversi lavori cinematografici come Matrix e The Truman Show. Di produzione britannica e di genere fantapolitico narra le vicende di un ex-agente segreto del governo inglese che dopo aver dato le dimissioni viene imprigionato in un piccolo villaggio situato in una località sconosciuta. Qui ogni persona non ha nome ma solo numero identificativo e Numero 6, ruolo interpretato dal protagonista, dovrà resistere ai complotti orditi dai responsabili del villaggio stesso, i Numeri 2, atti a fargli confessare le ragioni delle sue dimissioni. L’alone di mistero che circonda la trama è molto forte e si finisce inevitabilmente per finirne risucchiati appassionandosi al fato del “prigioniero” che si ribella costantemente alle ferree regole tentando più volte la fuga, ma solo per terminare catturato da una gigantesca palla senziente (il “Rover”) che lo riporta alla sua prigione.

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Le caratteristiche della storia sono surreali e innovative, trattano temi di forte coinvolgimento sociale mai affrontati prima in un serial tv come l’ipnosi, l’utilizzo di droghe, il controllo della mente, dei sogni e il furto di identità. Originale è la magnifica sequenza di apertura di ogni episodio che dura ben quattro minuti, accompagnata da una colonna sonora trascinante che segue Numero 6 dalle dimissioni dall’ufficio dei servizi segreti, dal tragitto verso casa a bordo della sua Lotus Steven, alla cattura. La serie, che dopo l’esordio del 1967 viene replicata numerose volte sino a tardi anni ‘90, conquista premi su premi ancora oggi: nel 2002 vince il Prometheus Award, nel 2005 i lettori della rivista SFX la omaggiano con le prime posizioni della classifica nei programmi di genere fantastico di sempre. Sembrerebbe che per il 2009 il network BBC ne abbia programmato un remake, per buona pace di tutti i numerosi estimatori.

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Cercasi manuale per aspiranti super eroi

Tra i serial televisivi cult degli ormai lontani anni ottanta non ne va scordato uno che regalava un’ora di puro spasso e avventura ai limiti del credibile: Raplh Supermaxieroe (“The Greatest American Hero”).

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Il protagonista, un professore di scuola per giovani disadattati, ha un incontro ravvicinato con degli alieni che, riconosciutagli una grande bontà d’animo, decidono di premiarlo con una tuta rossa in grado di donargli speciali poteri. Ralph acquisterà, indossata la tuta, superforza, la capacità di vedere attraverso i muri, la capacità di volare e quella di diventare invisibile. Sfortunatamente il professore smarrisce il libretto delle istruzioni ed è costretto ad andare a tentativi per utilizzare il regalo alieno, tra una moltitudine di figuracce; peculiarità che rende il telefilm divertentissimo. Ralph decide di offrire il suo aiuto all’agente dell’FBI Bill Maxwell (altro elemento che garantisce sorrisi) nel risolvere intricati casi altrimenti irrisolvibili. A completare il terzetto troviamo l’avvocatessa Pam Davidson, fidanzata di Ralph ed elemento spesso indispensabile per salvare la coppia di uomini dai pasticci in cui finiscono. “The Greatest American Hero” cerca di proporre una parodia dei super eroi dei fumetti, riuscendo ad andare oltre e mostrando come siano le persone comuni a meritare il rispetto per il coraggio sfoggiato nel sopravvivere alla lotta del quotidiano. Il pubblico imparò ad amare questo originale serial tv, immedesimandosi nel protagonista dal volto profondamente umano che, anche rivestendosi di ridicolo, volando sottosopra, correndo come un treno senza riuscire a fermarsi, contrastava con tutte le sue forze i malviventi. Il recente DVD ha vinto il Saturn Award; il premio più prestigioso per le serie degli anni passati, e il prodotto è stato nominato anche quattro volte per gli Emmy.

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The Wrestler

Negli ultimi tempi non frequento più le sale cinematografiche con una certa regolarità; il che non è un male, la selezione ti costringe a puntare, a intuito, su un elenco ridotto. Questa volta ho optato per un film che attendevo da mesi: The Wrestler del bravo regista Darren Aronofsky con un ritrovato Mickey Rourke in stato di grazia.

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La pellicola, vincitrice dell’ultimo Leone d’oro a Venezia, di due Golden Globe (miglior attore protagonista, miglior canzone), candidata a due premi Oscar, presenta uno spaccato quanto più verosimile e realistico di una vita passata nel bistrattato mondo del wrestling, un “dietro le quinte” di chi vive ormai al margine con la speranza, nemmeno tanto profonda, di riuscire in qualche modo a risalire. Prima che celebrare lo sport-spettacolo del titolo, questo è un film sulla vita e sulla sua parte più cinica e aspra che non concede sconti.

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È un film sulla solitudine che tocca le corde di quelle persone che la solitudine hanno potuto vederla davvero in faccia. Qui non ci sono eroi senza macchia e senza paura e non ci sono storie a lieto fine: ci sono uomini e donne che annaspano quotidianamente per riuscire a riempire i loro giorni non negandosi quello spiraglio di luce che si vede oltre una cappa di nebbia fitta. Qui chi commette degli errori li paga senza appello e pentirsi non basta. C’è la realtà e c’è l’interpretazione del ruolo: la prima ti prende a calci in faccia e ti scaraventa per terra, Mickey Rourke “The Ram” è però troppo ostinato per lasciarsi andare alla deriva, così tenta di recuperare quello che ha perduto durante il cammino mentre le urla del pubblico lo circondavano. Ma ecco che, anche nella caduta, anche quando ormai il dirupo ti reclama senza appello, la vita ti restituisce un pizzico di dignità riprendendoti rigorosamente di spalle, permettendoti di assaporare, seppure per brevi istanti, i sentimenti che hai perduto per sempre, concedendoti un ultimo lungo volo dalle corde di un ring, lasciandoti l’illusione che forse è finita come volevi, mentre lo schermo diventa buio circondato dalla solita folla inneggiante e le note della tua canzone si snodano nei titoli di coda.

“Qui è l’unico posto dove non mi faccio male”.
Randy "The Ram" Robinson

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Specialmente… speciale

C’è un serial televisivo di spionaggio che ha occupato la mia immaginazione, e quella di milioni di fans, qualche lustro fa. Sebbene definirla una serie di spionaggio appare un po’ riduttivo: in Agente speciale fanno capolino generi diversi trattati con un’ironia di stampo anglosassone (The Avengers, da titolo originale, ha infatti natali inglesi) con una base fanta-spionistica.

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Il protagonista John Steed è un’agente speciale che viene affiancato da partners diversi per risolvere indagini spesso ai confini del reale. Il successo giunge alla seconda stagione televisiva e ancor più alla quarta quando il bravo attore Patrick Macnee, che da vita a un personaggio ricco di humour inglese e intelletto, fa coppia con la spumeggiante Emma Peel, impersonata dall’attrice Diana Rigg. Il telefilm nato nel lontano 1961 viene prodotto per ben sei stagioni conquistando un largo seguito di spettatori che convincono gli ideatori a darne un seguito ulteriore nel 1976 e nel 1977 con Gli infallibili tre. Naturalmente le numerose repliche degli anni ottanta contribuiscono ad incrementarne il mito e a dare il la per una trasposizione cinematografica (però meno fortunata) nel 1998 con protagonisti Ralph Fiennes e Uma Thurman. Le ambientazioni dell’epoca d’oro di questa serie sono una vera e propria manna per la fantasia, sforando nel surreale con come sfondo un’Inghilterra ricca di fascino e, forse, nemmeno mai vista allo stesso modo. Per quanti protagonisti si siano avvicendati nel corso degli anni resta indelebile il ricordo della riuscitissima coppia formata dall’attore scozzese, punto saldo della produzione, Patrick Macnee e della inglese Diana Rigg.

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The Prestige

Da quanto tempo non vado al cinema..?
Troppo, sinceramente troppo… L’ultima pellicola che sono riuscito a vedere, e per fortuna ne è valsa davvero la pena, è questa. Uscita piuttosto in sordina, tra la marasma di film natalizi, ha raccolto meno di quanto avrebbe certamente meritato.
Come sempre vi porgo all’attenzione le parole di uno dei miei siti preferiti sul cinema. Abbastanza in linea con la mia scuola di pensiero.
Il lavoro di Nolan lo consiglio caldamente. Un regista mai banale che sa trasmettere dalla sua cinepresa emozioni particolari che scavano nell’animo e nella psiche umana…

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L’illusionismo e la magia del cinema, si sa, sono parenti stretti. Entrambi poggiano sul culto della finzione, dell’inganno. Entrambi si affidano allo spettatore e al suo desiderio di credere ciò che sa di non poter credere. Christopher Nolan, a ben vedere, ha battuto su questo tasto in maniera piuttosto esplicita lungo tutta la sua filmografia. Un inganno prettamente illusionistico c’era già in "Memento", ma rivolto allo spettatore confuso dal montaggio a ritroso; quello in "Batman Begins" era l’armaMichael Caine e Hugh Jackman principale contro il crimine di Gotham, disorientato dalle trovate circensi del pipistrello. Anche in "Insomnia", l’uomo deputato a svelare gli inganni ne diviene artefice e vittima, mentre una nebbia illusoria lo circonda.
"The Prestige" non fa eccezione e Nolan, com’è ovvio, si premura di mettere bene in relazione la figura dell’illusionista con quella del cineasta; di conseguenza, lo spettatore prende il punto di vista della vittima in platea ("Are you watching closely?"). Torna spesso in mente il "Dracula" coppoliano, sia per questo legame che per l’ambientazione, e si confondono struttura e sovrastruttura.

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Christian Bale e Rebecca HallNella Londra che si affaccia al ventesimo secolo due giovani apprendisti "maghi" si fanno a poco a poco prendere dalla rivalità, soggiogati da un mestiere che esige sempre un trucco nuovo, un inganno portato ancora un po’ più in là. Angier è un grande uomo di scena, Borden è tecnicamente più abile ma non molto attento alla componente spettacolare. Figure complementari cui manca qualcosa per essere l’altro, e qualcosa per superarlo. Alimentata da una disgrazia e da successivi sabotaggi, la loro rivalità si spinge oltre i confini dell’illusionismo, fino a sfidare la scienza pura. Ma chi sta fingendo cosa?

Christian Bale e Christopher NolanCombinando l’enfasi spettacolare con il recupero del montaggio ballerino, Nolan punta a confondere pesantemente le idee. C’è da dire che l’effetto ottenuto è curiosamente diverso. Per tutto il film si disquisisce di deontologia "magica", insistendo sul fatto che il pubblico non afferra il trucco perché non lo vuole vedere. Nel film il "trucco" su cui si basa la suspense è piuttosto ovvio, e lo svolgersi della storia prevedibile fin da quando si genera il conflitto principale, quello sul numero dell’uomo che scompare. Ebbene, proprio come ci dice il decano Michael Caine, ciò non ha importanza, perché quello che vogliamo è "non vedere". Chissà se questo "effetto dell’effetto" era nei piani di Nolan fin dal principio, ma che importa? Dietro all’avanspettacolo di prestigiatori si assaggia appena una vicenda di grande fascino, che ammicca alle tematiche culturali novecentesche del sapere tecnico, della nascente psicanalisi e delle rotture artistiche.

Michael Caine e Scarlett JohanssonUn film di cui in Italia si è forse parlato poco, e che alla Festa di Roma viveva la paradossale condizione di esserci e non esserci (c’era il film, ma nessuno ad accompagnarlo, come una presenza fantasma). Probabilmente, a concentrarsi sulla trama si resta delusi da una certa prevedibilità e da un racconto un po’ ingessato, che oltretutto rischia di afflosciarsi sulle sue stesse velleità. Come detto, però, basta accompagnarlo dove vuole essere accompagnato per intravedere motivi di interesse che sembrano proprio il terzo atto di un numero spettacolare, appunto the prestige, la risoluzione, lo scioglimento.

David BowieTutto il film è sulle spalle di Hugh Jackman e Christian Bale (Wolverine contro Batman, mica roba da tutti i giorni), intensi in modi diversi, impegnati a distruggersi cercando ognuno di diventare come l’altro. Ci sarebbe anche Scarlett Johansson, che infila un altro ruolo inutile dopo quello in "The Black Dahlia", ma preferiamo ricordare un bravo Michael Caine e un sorprendente David Bowie, simbolo della pura volontà scientifica, sfruttata e manipolata per i giochetti di due semplici illusionisti.

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La locandinaTitolo: The Prestige
Regia: Christopher Nolan
Sceneggiatura: Jonathan Nolan, Christopher Nolan
Fotografia: Wally Pfister
Interpreti: Hugh Jackman, Christian Bale, Michael Caine, Piper Perabo, Scarlett Johansson, David Bowie, Andy Serkis, Rebecca Hall, Samantha Mahurin, Daniel Davis, Jim Piddock, Christopher Neame, Mark Ryan, Roger Rees, Jamie Harris, Monty Stuart, Ron Perkins, Ricky Jay, J. Paul Moore, Anthony De Marco, Chao Li Chi, Gregory Humphreys, John B. Crye
Nazionalità: USA, 2006
Durata: 2h. 15′