Fede: il film!

Come fatto per un altro mio precedente racconto a puntate, ho voluto ipotizzare, per gioco, un possibile cast per un immaginario film tratto da Fede. Avevo in mente un’attrice particolare per il ruolo della protagonista; Milla Jovovich, che nonostante avesse il physique du role e mi fosse molto piaciuta in ruoli come il "Giovanna d’Arco" di Luc Besson, ha perduto il confronto all’ultimo momento a favore di Sarah Michelle Gellar.


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Meno appariscente e forse per questo più adatta. Per i comprimari, mi sono concentrato su un terzetto di “grandi vecchi” del cinema e non soltanto. Attori che mi hanno colpito in film, a mio avviso, suggestivi ed indelebili come “Fino alla fine del mondo” o “L’uomo che cadde sulla Terra”. E che sono William Hurt, Peter Fonda e David Bowie (l’ultimo, per chi ha letto Fede sin dalle prime battute, non dovrebbe rappresentare una vera sorpresa).
Ed eccovi il cast completo ed i rispettivi ruoli principali di quello che è, e rimane, un piccolo e divertente gioco tra noi.


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Padre Samuele  (W. Hurt)  The image “https://keypaxx.files.wordpress.com/2011/12/media128e0a9dce90e78eaa3850d0099bad6d.jpeg” cannot be displayed, because it contains errors.

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Gabriel  (D. Bowie)  The image “https://keypaxx.files.wordpress.com/2011/12/media0a8602cb41b06b0e42118521e85e5aa7.jpeg” cannot be displayed, because it contains errors. 



Ora parto, devo trovare un ricco produttore Hollywoodiano, farlo ubriacare fino all’inverosimile, e fargli stipulare un piccolo contrattino per assoldare gli attori. Qualcuno ha qualche damigiana di quello buono da regalarmi?


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Fede • atto 17di17

Credeva di vedere l’antro di un inferno dantesco, superata la soglia. Credeva di trovarsi anche di fronte l’eden inseguito dagli uomini, giunta oltre la porta. Ma, semplicemente, non trovò nulla. L’ambiente era esattamente come lo rammentava: un arredamento essenziale, composto da mobili antichi e di valore contenuto. Un’ampio stanzone che faceva da anticamera all’alloggio del parroco, con sedie in noce sparse attorno ad una scrivania centrale. Sulle pareti, i soliti quadri raffiguranti figure religiose. E alte finestre scurite dalle bocche della notte.
In ginocchio (le dava le spalle), Osmand Himmerswach pareva in trance mistica.
‘Esattamente come Padre Samuele… anzi, non proprio come lui.’
Pensò, per poi correggere la congettura.
Il ricercatore aveva stampata sul viso, ora che si era sporta per vederla, un’espressione che era l’opposto della beatitudine del parroco: appariva teso, combattuto, lo sguardo allucinato, come se si stesse confrontando con i demoni cui dava la caccia. E forse era veramente così. Al vertice di quel quadro contemplativo, fatto di carne e cose immobili, si ergeva Gabriel.
In piedi, a poca distanza dall’angolo della parete, avvolto in un lenzuolo color cenere: la stava guardando, con quegli incredibili occhi penetranti, di un azzurro slavato e brillante.
«Che cosa sta succedendo qui?»
Chiese Federica, sfoggiando la spavalderia che prova chi non è toccato dal credo religioso.
«Tutto e niente.»
Rispose la voce che conosceva, dal timbro basso, ridotto ad un sussurro ma perfettamente comprensibile.
Comprensibile
, appunto, parlava in un greco perfetto. Quasi fosse la sua madrelingua, quasi che l’aramaico originario fosse solamente l’eco di un sogno dimenticato.
«Cosa gli hai fatto? … cosa hai fatto a loro (e a quello che ci circonda, le hai mandate tu le voci, le mie visioni?)..?»
«Io? Nulla, Fede. Loro hanno deciso per se stessi. In base a quello che sono. L’uno ha intrapreso una strada.. l’altro ne ha intrapresa una seconda. Stanno raccogliendo i frutti del loro cammino. Niente di più. Niente di meno.»
«Mi hai ingannato? Sapevi già parlare la mia lingua? Perchè ti ostinavi a fingere che non fosse così…?»
Lo incalzò lei. Gabriel la guardò in silenzio per un lungo istante, come a soppesare la frase ed i quesiti, quasi fosse stato richiamato verso cose che non lo competevano, o che rivestivano un’importanza marginale.
«Come loro, anche tu hai intrapreso una strada. La tua è quella del dubbio. Molti la stanno percorrendo, molti persino di coloro che affermano di credere. In verità, credono solo a se stessi.»
«Se stai cercando un credente, devi rivolgerti agli uomini che hai messo in ginocchio. Perchè sei qui? Che cosa sei, esattamente tu?»
«Sono quello che non vedi, ma c’è. Sono l’oggi e sono lo ieri. Sono venuto per placare il freddo, se fosse stato possibile. Se il libero arbitrio lo avesse permesso. Sono calore
«Parli per enigmi… io non capisco cosa…»
La bloccò.
Le si avvicinò senza che se ne rendesse conto (senza camminare?), posandole la punta delle dita della mano destra, sulla fronte.
Un mosaico di immagini e suoni si accavallarono in un vortice, davanti ai suoi occhi. Precipitò in un altro tempo. In un altro luogo. Natale: l’albero adorno di palline colorate e stelle filanti, sua madre a pochi passi di distanza, lei bambina. Atmosfera di pace. Seduta davanti alla carta colorata, scrutava i regali: piccoli pacchetti racchiusi dentro fiocchi annodati.
Scrutava il dono.
Lo prese tra le sue mani piccole (forse non aveva neppure sei anni, al tempo) ed iniziò a scartarlo.

“Federica… Fede…. Piccola Federica…. Piccola Fede….”
Voci, sempre voci attorno…
“Federica… Fede…. Piccola Federica…. Piccola Fede….”
Il dono conteneva tutto… e nulla. Vuoto e freddo, luce e calore.

Le mani divennero adulte e la bimba che era sparì come era giunta. Osmand Himmerswach si stava muovendo, aiutandosi con il bastone, si stava rialzando lentamente. Dentro di sè, sapeva che altrettanto stava facendo Padre Samuele, in Chiesa.
Così, almeno, credeva.
La attendevano giorni controversi, giorni di scelte e di percorsi. Giorni in cui avrebbe esplorato altre strade. Lo avrebbe fatto perchè, quando qualcosa accade, inevitabilmente, quel qualcosa ci muta e ci cambia dentro. Ma, cosa diventeremo, nessuno può dirlo.
Lì, e adesso, Gabriel era svanito. Lasciando il frammento della sua presenza. Lasciando un sospiro tiepido che placò la notte.
Attorno, i quadri appesi alle pareti, sembravano finestre aperte. Verso mondi che si erano affacciati ad osservare. Mondi che sussurravano un alito di vento impercettibile. Ed il vento formava un quesito ed una frase:
Tu credi?

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FEDE SALUTA I SUOI LETTORI CON QUEST’ULTIMO ATTO E LI RINGRAZIA PER L’AFFETTO DIMOSTRATOLE…

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Fede • atto 16di17

“Le tribù ugre hanno portato dall’Islanda lo spirito combattivo conferito loro da Thor e da Odino, e di cui i loro guerrieri furibondi, Berserkers, han dato prova, con tanta selvaggia furia …al punto da far credere alle genti che fossero calati i lupi mannari stessi.”

Rintronava l’eco, deflagrando il vuoto delle navate e protraendosi all’infinito. Federica volse il capo di scatto, nei punti in cui il suono si affievoliva. Consapevole, nonostante tutto, che non avrebbe veduto nulla di fisico. Eppure riecheggiava con ostinata ripetitività, come la nota stonata sulla tastiera di un pianoforte privo di vero musicista.
Padre Samuele sentiva? Non poteva esserne certa.. eppure, il religioso stringeva le mani sino a sbiancarne le nocche, in una disperata preghiera. Con il mento schiacciato sul petto, gli occhi adesso serrati e la mascella tesa.
‘Si, probabimente “sente”.. ma preferisce non accettare questa parte..’
Le immagini si susseguivano, sfumandosi le une nelle altre.
Come parte di un unico affresco che ancora non aveva deciso il tema portante. Sfilavano figure magre avvolte in sudari bianchi, che attorniavano un corpo esile ed emaciato (sempre di spalle, Federica non riusciva a vederne il volto). Poi la scena si nutriva di tonalità cupe e tenebrose; i corpi divenivano guerrieri, che rendevano omaggio ad una scarna figura in cotta metallica, dai capelli neri come la pece e lunghi sino alla schiena. Una scintilla rosso fuoco saettava dallo sguardo nascosto.

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“Ciò che esce dall’uomo, questo sì, contamina l’uomo. Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive!”

E ancora voci.
Cori di voci. Che sembravano lì, sembravano giovarsi dell’eco della Chiesa. Sulla navata destra, a meno di quindici metri da lei, l’uscio che dava sulla canonica del prete, in cui era scivolato pochi attimi prima Osmand Himmerswach, la chiamava.
Le visioni lo evitavano, spargendosi ovunque, ma non davanti a quella bassa entrata.

“Ascoltateli, i figli della notte. Che musica fanno, eh! Ah, signore, voi cittadini non potete far vostri i sentimenti del cacciatore!”

«Ascoltare..? No, basta: sono stanca di sentire! Finitela! Basta! Basta ho detto!» Esclamò con impeto, sovrastando l’eco che bisbigliava intorno, scuotendo le colonne con il rombo di un tuono temporalesco.
Per un istante, un lungo istante, l’aria stessa parve tacere. Una cappa di solitudine infinita la scosse nelle fondamenta del suo essere.
‘E’ così che si sentono i matti quando le voci che hanno in testa cessano di colpo?’ Non conosceva risposte alla domanda che si era posta. ‘I matti, certo, forse sono solo una povera pazza?..’
«Io non sono pazza! Non lo sono! Avete capito??»
Sbottò quasi gridando, sfiorando con sguardo vitreo gli angoli della Chiesa. Rammentando poi che i pazzi, spesso, non ricevono alcuna replica. Un espressione beffarda le illuminò il viso. Mentre la canonica, quasi una ferita scura nel ventre di un corpo estraneo, appariva un’oasi ipnotica, Federica si avviò verso di essa…………..

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Fede • atto 15di17

«E’ inutile parlarne… sai già come la penso..»
«So soltanto che mi sembri divertita da questa tua posizione-non-posizione..»
Si grattò la nuca, come spesso faceva quando era irrequita, e le regalò un sorriso… divertito.
«Vedi? Proprio quello che ti dicevo: trovi la maniera di spassartela con le questioni che non accetti. Non che sia grave, ma, figlia mia, un giorno, una posizione definitiva, la dovrai prendere anche tu. E spero possa essere un giorno felice..»
Concluse sua madre. Dafnia Nynphe se ne andò la notte successiva.
L’aria pungeva la pelle con aghi acuminati e gelidi anche in quell’occasione. Tuttavia la situazione, benchè drammatica, era reale.

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Adesso non riusciva a capire quale equilibrio ci fosse in quello che vedeva: Padre Samuele si trovava in ginocchio, davanti all’altare della messa. Stava pregando. Lo sguardo assente e beota al tempo stesso, rapito da sussurri arcani. Gli occhi spalancati a guardare il grande crocefisso, appeso sulla navata opposta all’ingresso. La bocca semiaperta tratteggiava una mezza luna all’insù, a rimarcare uno stato d’estasi. Dopo aver tentato inutilmente di entrare dalla canonica, Federica aveva optato per l’alto portone della Chiesa. Che a quell’ora sarebbe dovuto essere chiuso, nella teoria. La pratica invece era ben diversa.
«Padre Samuele… Padre…»
Ripetè avvicinandosi al religioso. Le intenzioni di Osmand Himmerswach erano di valutare lo stato delle cose, con l’aiuto delle sensazioni di Federica, prima dell’arrivo di un gruppo di preti che aveva provveduto ad avvisare in serata. Ma la delegazione tardava, e Osmand non sembrava propenso all’attesa. Così, mentre la giovane provava a ridestare il prete dall’apparente trance in cui pareva essere caduto, il ricercatore si defilava con accortezza verso la canonica, dall’interno della Chiesa.
‘Mi auguro che sappia cosa sta facendo. E io non posso certo suggerirlo a qualcuno che potrebbe essere benissimo mio nonno..’
Constatò, scrollando lievemente le spalle sconsolate. Quindi, con la stessa cautela usata dal vecchio, posò delicatamente una mano sulla spalla del prete.
«Federica! L’ho visto… l’ho visto!»
Esplose improvviso al suo indirizzo, volgendo la testa di scatto e facendola trasalire. Le pupille danzavano frenetiche, riflettendo la luce smorzata dai lampadari.
«Che… che cosa ha visto, Padre…?»
Si costrinse a pronunciare con un filo esile di voce.
«Ho visto… colui che ci ha mandato Nostro Signore Gesù!»
Le rispose con un’esultanza nel tono da apparire persino artefatta.. o tremendamente veritiera.
“Figlia mia, un giorno, una posizione definitiva, la dovrai prendere anche tu. E spero possa essere un giorno felice..”
Le disse sua madre, la notte prima di andarsene.
Ma, anche adesso, Federica Carrasco non riusciva a capire come davvero fosse quel giorno della sua vita…………

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Fede • atto 14di17

Fu così che dovette ancora rimandare la zuppa calda che si era prefissata per cena ed il rassicurante abbraccio delle coperte. La sosta al bar era comunque servita a riscaldarle lo stomaco infreddolito, e in fondo, le richieste di Osmand Himmerswach, si limitavano a spingersi di nuovo verso la Chiesa lasciata alle spalle poco prima. Non riponeva una completa fiducia nel pastore conosciuto quella sera stessa, ma doveva riconoscergli doti da ottimo oratore e persuasore. Inoltre, sembrava veramente troppo vecchio per essere mosso da cattive intenzioni, o per essere di una qualche pericolosità. Doveva anche riconoscere che, tutto quel parlare di fede religiosa, aveva risvegliato in lei una relativa curiosità. Quantomeno desiderava constatare se l’euforia di Padre Samuele fosse stata in grado di contagiare il pastore accanto a lei (cosa di cui dubitava molto). Continuava a sentirsi inadatta e fuori posto, una parte della sua mente avrebbe preferito mandare a quel paese ogni questione. E, forse, quella alternativa sarebbe stata la sua opzione principale (e quella più ragionevole: che accidenti si pretendeva da una mezza atea?), se il “senso sciocco” (percezione alle auree mistiche, lo poteva chiamare Himmerswach, ma lei non avrebbe mai modificato quella che riteneva una più consona definizione) non si fosse innalzato come due antenne radio che captano fortissime frequenze nell’etere. In strada non girava nemmeno un cane.
Persino Nelson era sparito dalla circolazione, dopo la sua piccola fuga dal cortile di casa.

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‘Oh beh, e che sarà mai? sto solo gironzolando in una città deserta dove, chi ha un briciolo di sale in zucca, se ne sta riparato tra le mura del proprio focolare. Con questo ronzio in testa che mi fa sentire voci e discorsi di Gesù Cristo e Dracula, ogni tanto mi mostra persino cose che non ci sono, e per compagno, invece di un alto cavaliere senza macchià nè paura, ho un vecchio sacerdote: complimenti, Fede! Ti darei una pacca sulla spalla, se solo ci arrivassi..’
Recitava mentalmente con se stessa, rallentando ogni tanto l’andatura per non perdersi il compagno anziano.
Come capita sovente, il viaggio di ritorno le sembrò molto più rapido di quello dell’andata. Nonostante la differenza evidente, in entrambi i casi faceva strada a due zavorre.
Eppure giunse al portone della Chiesa con inaspettato tempismo (probabilmente molto prima di quanto avesse desiderato davvero). Lo fiancheggiò, aggirando le ampie scale, e si diresse alla porticina che faceva da ingresso alla modesta abitazione del prete. Sospirò un paio di volte, infine si decise a bussare sul liscio legno lavorato.
«Padre Samuele…? Padre… sono io, Federica… Federica Carrasco.»
Ma al di là della porta, non rispose nessuno.
Diede un’occhiata alle spalle, per accertarsi che Himmerswach  fosse ancora vicino, e notò l’espressione corrucciata dell’uomo.
Le sue mani stringevano con forza il pomello del basso bastone su cui si poggiava. Quindi riprese a bussare con rinnovato vigore.
Mentre una sottile angoscia le pervadeva l’animo………..

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Fede • atto 13di17

Osmand Himmerswach le aveva svelato la sua “missione”. Tuttavia, il pastore era stato molto più esauriente nelle sue spiegazioni di quanto Federica si potesse aspettare, in un certo senso. Sicuramente più di quanto la sua mente, che si stava lentamente aprendo verso territori inesplorati ed evitati a lungo, fosse in grado di apprendere velocemente. “Il suo scopo era di localizzare individui e situazioni che sfuggivano ai normali canoni di identificazione”, le aveva confidato. Come poteva essere inserita anche lei nella lista del ricercatore? Non si considerava un fenomeno inspiegabile, era soltanto una normalissima ragazza venticinquenne che viveva da sempre nella Penisola Ellenica. Eppure, il modo in cui l’anziano pastore la scandagliava con quelle intense pupille scure, le allucinazioni di cui lui sembrava a conoscenza, la portavano a pensare in quella direzione.
«Non mi ha ancora spiegato la ragione principale per cui lei è qui. Tutto quello che mi ha appena detto, assomiglia al contorno di una storia.. ma quali sono i protagonisti?»
Chiese fissandolo determinata.
«Protagonisti? Oh, ragazza mia.. nessuno è protagonista, siamo tutti delle minuscole pedine in un enorme scacchiera. Ognuno ha il suo ruolo specifico, certo, ma la superbia è descritta come uno dei sette peccati capitali. Meglio lasciarla ad altri. Il nostro ruolo è quello di assistere a che il vertice del triangolo non decada verso il basso. Dove, il basso, è rappresentato dall’oscurità. Una notte come questa, se preferisci, ma infinita. Una notte eterna sul genere umano.»
Concluse lui con gravità.

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Poi abbozzò un leggero sorriso, il primo rassicurante e caldo che le rivolse «Ciò che vedi, ciò che senti, è un dono: la capacità di percepire quello che i più non possono fare. Il male ed il bene e la potente aura mistica che diffondono al loro passaggio.»
«Questo “dono” non lo voglio. Chi ha pensato di mandarmelo ha fatto un grosso errore. Ci sono altri cui la fede può importare e che sarebbero ben più adatti della sottoscritta!»
Si oppose fermamente, cercando di far valere il proprio punto di vista.
«Altri, sì… forse… Però qui e ora ci siamo solo noi due. C’è questa notte che già minaccia di non volersene più andare. C’è questo gelo che attanaglia gli spiriti. C’è un incendio che sta per consumare il mondo che conosci. Preferisci girargli le spalle credendo, ma se non credi non vedo come, che possa estinguersi senza troppi danni, oppure arrancare nel tentativo di fare qualcosa?»
Dafnia Nynphe si sarebbe buttata a capofitto di fronte a quelle parole. Una donna che amava la religione cristiana quasi quanto amava la propria famiglia. Una donna “timorata di Dio”, come si soleva dire, che non si risparmiava nel servirlo. Ci sarebbe voluta sua madre in quel frangente, non lei. Si sentiva inadatta e distante al semplice ascoltare Himmerswach. Che cosa mai pretendevano da lei? Che cosa mai potevano attendersi, come esito, in quella che somigliava ad una guerra infinita tra entità astratte, se come soldati ricorrevano a Federica Carrasco?

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Fede • atto 12di17

Ne venne fuori che Osmand Himmerswach era un pastore. Non un pastore qualsiasi ma, stando a quanto affermava, un ricercatore.
Il suo scopo era di localizzare individui e situazioni che sfuggivano ai normali canoni di identificazione (sebbene Federica, che cosa ci fosse ancora di “normale” in quella notte, non lo capiva).
Fenomeni inspiegabili, li chiamava lui, quelle alterazioni del reale che sfuggivano a denominazioni prestabilite (possessioni, avrebbe detto lei, però non credendo nella religione cristiana, tale termine le restava in fondo alle corde vocali).

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«Quindi, secondo quanto mi ha detto, Volo si troverebbe al vertice di un triangolo.. mistico
«Si, in sostanza, le mie previsioni, indicano che la tua città concluderà il vertice del triangolo rimasto aperto nei secoli.»
Controbattè al tono forzatamente accondiscente della ragazza «Gerusalemme ha visto i natali di Gesù, colui che rappresenta il bene incarnato. Bucarest, ai tempi della Valacchia, diede i natali a Vlad Tepes, il sanguinario sterminatore di turchi, che tu conosci anche come Dracula. Qui, si uniranno le linee della storia. Ho motivo di crederlo.»

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«Gesù… Dracula… triangoli dorati… no, no, io passo la mano; per me tutto questo è troppo!» Concluse la giovane greca con un gesto di stizza «Senta.. la ho ascoltata, non so neppure io perchè l’ho fatto.. forse perchè mi ha dato una mano quando stavo… cadendo in strada. Non so e non voglio sapere. Ma mi creda: con me perde il suo tempo! Se lo desidera posso accompagnarla alla Chiesa di Padre Samuele. Sono certa che vi intenderete alla perfezione…e..»
Si interruppe notando con quale intensità il vecchio pastore la guardasse.
«Ti comprendo, davvero. E’ salutare lasciare fuori dalla porta le cose che non si capiscono, o che non si vogliono affrontare..»
«Che cosa? La avviso che io affronto tanti di quei problemi, ogni santo giorno, che lei non ha alcun diritto di dirmi…»
«Vero anche questo.» La interruppe frenando la sua sfuriata «Però adesso lascia stare quanto ti dico io, o quello che ti dice la ragione. Ascolta quello che hai dentro: che cosa ti dice la tua anima…?»
E allora comprese. Si rese conto che, contrariamente a quanto asseriva la sua bocca, dentro di lei, si agitava un mare impetuoso: il “senso sciocco” sapeva. Le allucinazioni le aveva avute veramente. Il petto desiderava esploderle davvero. Seppure ogni oncia del suo corpo non lo volesse, la fibra interna del suo essere la spingeva in quella direzione. La spingeva a credere……….

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Fede • atto 11di17

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Visto così, il vecchio poteva essere quello che sembrava. Ma anche no.
Un anziano sbucato fuori dal secolo precedente e agghindato in modo da strappare quasi referenza, con abiti scuri da ricordare una rinomata casta nobilare. Oppure un buffo nanerottolo, talmente rinsecchito dall’età, da non poter neppure assurgere a ruolo di spauracchio per i corvi.
Non era importante come appariva, però. Bensì quanto diceva.
«Gerusalemme.. Bucarest.. e Volo..? Mi dica che sta scherzando. Sono disposta a crederlo, senza troppa fatica..»
Disse con voce sommessa ma ferma, continuando a sorseggiare il punch al rum che, poco a poco, le faceva recuperare il calore perduto.
Il bar semideserto appariva come l’avamposto ai margini di una valle desolatamente vuota. Federica non sarebbe riuscita a raggiungere casa senza rifocillarsi, non dopo quello che aveva creduto essere un infarto (e non era ancora certa di sbagliarsi).
«Forse è proprio il credere il nostro principale problema…»
Si limitò a risponderle.
Occupava lo sgabello di fianco al suo, sempre appoggiandosi al bastone nodoso con ambo le mani. Come se potesse trarne una sorta di beneficio o di linfa vitale sconosciuta.
Il vecchio
, che aveva detto di chiamarsi Osmand Himmerswach, si mostrava piuttosto laconico nelle sue affermazioni. Per quanto ne sapeva, poteva essere sbucato dal nulla quanto Gabriel.
Non si sarebbe stupita se così fosse stato.
«Sono convinta che lei stia sbagliando persona, signor Osmand. Io sono soltanto una ragazza disoccupata che cerca di sbarcare il lunario senza troppa fortuna. Ho anche avuto una serata decisamente… pesante. Se lei potesse arrivare al nocciolo della questione (sebbene lo ritenga tempo perso), gliene sarei grata. E potrei tornarmene a casa.»
Il vecchio la osservò con attenzione, sempre ricurvo sul bastone. «Partiamo dalla fine; credi di sentire e vedere delle cose che non ci dovrebbero essere, in quella che definisci “realtà”?» Chiese disegnando un arco con una mano ed assumendo un espressione da stupito commediante. «Oppure, ancora meglio, credi di non avere avuto un infarto pochi minuti fa che, per qualche strana ragione, non è stato letale come poteva essere?»
Federica Carrasco non potè fare a meno di rabbrividire, nonostante il calore del liquido che le era scivolato in gola.
«Che cosa sarebbe questa specie di… “triangolo” che unisce Gerusalemme, Bucarest e Volo?»
E abbassò gli occhi sulla cartina geografica che Osmand le aveva mostrato.
Una cartina che univa le città.
Il male, il bene ed un’incognita, nel segno di un triangolo dorato……….

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Fede • atto 10di17

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«Ti senti meglio adesso…?»
Le chiese con tono apprensivo, chinandosi verso di lei. Il ciuffo di capelli ricci che ondulava selvaggio sulla fronte liscia come seta, una cascata di capelli che adornava capo e spalle in un campo di grano rigoglioso.
«Un poco… si, grazie per il caffè.. stavo davvero gelando, là fuori.. erano anni che non arrivava un inverno così rigido…»
Rispose Federica, incerta.
Il calore del corpo che sembrava respinto nelle profondità dell’anima.
«Anni..? io non ricordo di averne mai visto uno così!»
Fece l’amica sorridendo. Probabilmente la migliore che avesse mai avuto. Coetanee e vicine di casa erano cresciute dividendosi le gioie (molte) e le delusioni (poche) della fanciullezza. Se non fosse stato per i capelli, e per una statura leggermente inferiore di Selene, potevano essere considerate gemelle, per aspetto fisico.

“Il Salvatore benedisse il popolo e insegnò loro il Suo glorioso vangelo, proprio come aveva fatto a Gerusalemme.”

«Che… che cosa hai detto…?»
«Io..? ero d’accordo con te sull’inverno, Fede.. che cosa hai capito?»
«No, no, no… dopo di quello… hai aggiunto qualcos’altro, parlavi… di.. hai parlato di…»
Balbettò senza concludere la frase.
‘Perchè stai dicendo questo? Lo sai che io non sono una credente.
Ti confondi con mia madre. Lei lo era.. io no.’
Avrebbe voluto dirle. Ma a che scopo? L’amica la conosceva. Non poteva essere entrata in discorsi che la annoiavano e basta.

“Hanno imparato segreti di diavolo… tra i monti sopra lago di Hermannstadt, dove il diavolo pretende che ogni dieci savi uno è suo.”

«Selene! che cosa stai dicendo??»
Tuonò ora stizzita. Ma la ragazza dai capelli ricci e color del grano, si limitò a sgranare gli occhi celesti, in un espressione di genuina sorpresa.
Solo allora Federica potè notare l’oggetto che era appeso sopra il caminetto della modesta e piccola casa.
Solo allora tutto si diradò come la bruma scacciata dal sole. Sbiadì, si consumò, permettendo alle ombre del buio di riappropriarsi del loro sacrosanto tempo. Solo allora il vecchio le ricomparve davanti mentre, ancora in ginocchio, si stringeva la mano al petto, ansimando.
«Lo hai visto, vero? Hai visto il triangolo dorato…»
Più che una domanda, un’affermazione.
Le prime parole che la bocca, nella maschera di rughe dei decenni passati, proferirono.
E le tenebre intorno le parvero ancora più gelide………

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Fede • atto 9di17

“…Dispone di alcune nozioni geografiche, storiche e religiose sbalorditive…..” riecheggiavano le frasi di Padre Samuele “…Purtroppo, deve aver subito un qualche trauma che lo ha confuso.. non rammenta granchè di sè, oltre al nome….”.
«Si, va bene, ragazza… ma hai già altri problemi da affrontare. Quello che potevi fare lo hai fatto: fila a casa. Ti aspetta una zuppa calda e le coperte del letto!»
Si disse a denti stretti mentre procedeva a passo spedito.

“Non c’è nulla fuori dall’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo.”

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Parole, frasi, mozziconi di discorso caduti da una sigaretta che non accennava a spegnersi. Doveva calpestarla sotto la suola delle scarpe?
‘Cosa sto pensando…? Il prete non ha mai detto quelle ultime parole… o si? Devo essere più stanca di quanto credessi… si, deve essere questo..’
Camminò più decisa, ansiosa di lasciarsi alle spalle le ultime ore.
Ma le sembrava di affondare nella melassa, in un tappeto liquoso che le rimandava la mente verso epoche lontane, forse antiche, sicuramente altrove. Immagini incorporee baluginavano davanti al suo sguardo, brevi saette scarlatte, ocra e indaco. Dei drappi che si alzavano e calavano con la stessa fugacità frivola del vento.

“Ha osato persino frequentare la Scolomanzia, e non era branca di conoscenza di suo tempo che egli non indaga. Bene, in lui poteri mentali hanno sopravvissuto a morte fisica!”

Una fitta le avvinghiò lo stomaco, come un maglio imprevisto ed invisibile che la bloccò, costringendola a curvare la schiena in avanti. Le immagini andavano e venivano. A volte liete, a volte cupi.
‘Ho le allucinazioni!’ Constatò quindi, con allarmata consapevolezza ‘Che cosa mi sta succedendo…. che cosa??’
Mancandole le forze, scivolò con un ginocchio a terra. Una mano a tenersi il petto con il cuore che batteva come un tamburo impazzito, il fiato un sussurro sibilato tra le labbra ormai rinsecchite ‘Un infarto…?!? Oh no… oh no….’
Infine comparve; basso e magro, i capelli dei bianchi pennacchi svolazzanti senza disciplina attorno alle tempie pallide. Il vestito scuro avvolto da un tabarro, fissato al collo da un legaccio in cuoio. Le mani congiunte sopra il pomello di un sottile bastone di noce, su cui poggiava le consunte membra. Il viso, una maschera rugosa e maculata con un’infinità di solchi e linee a decorarla, gli occhi due fessure buie dietro sopracciglia folte e candide.
Una statua di cera che non lasciava trasparire emozioni.
Nella nebbia ovattata in cui si trovava, Fede comprese che il vecchio era venuto per lei…….

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Fede • atto 8di17

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Padre Samuele non era solo un conoscitore delle lingue; era uno studioso dei più appassionati. Parlava correttamente otto diversi idiomi, e ne stava studiando ancora. Spesso veniva interpellato per collaborare alla traduzione di opere antiche, volumi che riemergevano dalla polvere dei secoli per finire tra i meandri della Chiesa Cattolica. Quello che Federica sapeva sulle capacità linguistiche del religioso, era solo la planimetria di facciata di un più solido ed ampio complesso.
«E’ così; abbiamo discusso per parecchio tempo, parlando in aramaico. Inizialmente non mi è stato facile rispolverare le mie vecchie nozioni, poi però, per fortuna, la memoria mi è venuta in aiuto e sono riuscito a costruire un fruttuoso dialogo. Si chiama Gabriel. Se anche solo la metà di quanto mi ha detto su di lui corrisponde al vero, dovrò interpellare i miei superiori già domattina.»
Esclamò il prete con fare concitato. Contrariamente alla giovane, che si mostrava dubbiosa e scettica rispetto all’entusiasmo che lui mostrava.
«Padre.. che cosa intende dire? Non riesco a seguirla…»
«No?!? Beh, è naturale, Federica. Per farlo avresti dovuto essere presente alla nostra lunga conversazione e conoscere l’aramaico
Le rispose con tono comprensivo ed abbozzando un luminoso sorriso «Cosa che sarebbe alquanto strana. Vedi, è una lingua quasi scomparsa. Con tremila anni di storia alle spalle, oggi è parlata perlopiù in piccoli villaggi della Siria. Gabriel non soltanto la utilizza come fosse la sua lingua madre (e potrebbe anche esserlo), ma dispone di alcune nozioni geografiche, storiche e religiose sbalorditive. Purtroppo, deve aver subito un qualche trauma che lo ha confuso.. non rammenta granchè di sè, oltre al nome.»
Ora Federica osservava il prete con incredulità. Faticava ad afferrare il senso di quanto le diceva, dovendo dare per scontato cose in cui nemmeno credeva veramente. E per quanto la curiosità sull’uomo che aveva condotto in Chiesa fosse grande, aveva imparato ad occuparsi delle questioni più immediate ed attinenti alla sua condizione.
«Capisco… ma credo sia meglio se faccio ritorno a casa, adesso. E’ davvero molto tardi, ed immagino che.. ‘Gabriel’.. abbia trovato un posto dove restare, questa notte, dico bene?»
«Puoi fermarti, se vuoi. Ci sono molte stanze per gli ospiti qui dentro, e non vorrei che…»
«No, no..»
Si affrettò a dire interrompendo la generosa offerta dell’uomo di Chiesa «La ringrazio, davvero, per tutto, ma mi sentirei a disagio qui dentro.. ho un tetto, magari non dei migliori, ma è la mia casa. E ci sto mancando già da troppe ore…»
Salutò rapidamente Padre Samuele (che non insistette nell’offerta), dando un’ultima fugace occhiata verso la stanza in cui Gabriel sedeva, e si avviò verso il lungo viale accarezzato dalla brina e fasciato da un velo di pesante tenebra. Non si avvide che una lingua di buio si mosse alle sue spalle………

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