Alaska, una fredda e calda Madre Terra

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Chi non conosce Steven Seagal? Oggi, come ieri, la sua immagine è fortemente legata a quella di un tipico attore di action movie: quel genere di pellicole dove, il protagonista di turno, risolve la trama a suon di sparatorie, scontri fisici, esplosioni e omicidi. Il suo compito è semplice, rozzo ed efficace. Seagal ha saputo costruire una soddisfacente carriera, al pari di colleghi come Arnold Schwarzenegger, Sylvester Stallone e decine di altri. Oltre ad essere uno dei più grandi maestri occidentali di Aikido e coltivare la passione per la musica, è un convinto sostenitore dei diritti degli animali e sostiene la causa dell’indipendenza tibetana. Sono alcuni aspetti della sua personalità poliedrica a dettare la trama della prima regia: Sfida tra i ghiacci, ambientato in Alaska. Celato dietro l’apparente filone a cui ha abituato il pubblico, l’interprete e regista consegna invece agli spettatori una pellicola diversa. Le basi sono quelle consolidate, è vero, dove azione e violenza conferiscono al protagonista di turno lo spessore necessario a soddisfare un certo tipo di palato. Tuttavia, Seagal offre un lavoro differente dai soliti. Infarcendolo di importanti messaggi che non possono passare inosservati. È una aperta denuncia che investe tematiche ecologiche ed ambientalistiche, con tanto di monologo conclusivo che, se tenuto da altri interpreti, avrebbe rischiato di guadagnarsi persino qualche altisonante riconoscimento. L’importanza della natura e della Madre Terra, così come dovrebbe interessare ogni singolo abitante del pianeta, la denuncia e l’impegno sociale sono evidenti. Le perdite di greggio coprono di petrolio, ogni anno, pesci e foche destinandoli alla prematura scomparsa. E gli Inuit, per quanto possano prodigarsi di fronte alla cecità dell’uomo, restano comunque soli. Messi in secondo piano, rispetto alla corsa verso l’approviggionamento delle materie prime. L’impatto climatico non solo danneggia pesantemente gli animali e mette a rischio la sopravvivenza di un popolo che si nutre di essi, ma non rispetta neppure le usanze ritualistiche e spirituali degli indigeni stessi. Gli Inuit denunciano a più riprese la condizione del pianeta e sono in prima fila per tentare di sensibilizzare la società di fronte a uno scempio che minaccia ogni singolo uomo.
In due punti del loro programma, auspicano:
Consolidare, condividere e far tesoro delle esperienze e visioni dei popoli indigeni sugli impatti del cambio climatico sugli stili di vita e l’ambiente.
Diffondere le strategie e le soluzioni per rispondere ai cambiamenti climatici dalla prospettiva delle culture, delle visioni del mondo e delle conoscenze tradizionali dei popoli indigeni includendo gli approcci basati sul diritto locale, nazionale, regionale e internazionale.
Il film di Steven Seagal ha incassato una ricca incetta di premi negativi, generosamente offerti da una critica aspra e implacabile. Lui venne deriso e accusato di onnipotenza e, forse, parte della responsabilità della carriera discendente dell’attore è dovuta anche a oscuri boicottaggi. Datato 1994, il film è ancora più attuale, a distanza di vent’anni. Quasi fosse destinato a prendersi una colossale rivincita a spese, purtroppo, dell’intera umanità. Nelle frasi del monologo conclusivo, l’attore dice: “responsabilizzare le aziende, non permetter loro di progettare prodotti che non siano biodegradabili o riciclabili al 100%. Le tecnologie per far ciò esistono da anni, si tratta solo di utilizzarle.”
Questo il video:

Autore testi: Keypaxx © Copyright per questo testo dal 2014. Tutti i diritti riservati.
Immagini dal web © Copyright aventi diritto: “Steven Seagal” sconosciuto.

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