
Angela si mosse risvegliata dalla voce gutturale del suo seviziatore. Credeva di essere morta. Ma il viso gonfio ed arrossato, il bozzolo dietro la nuca, le confermavano il contrario. Le ci volle qualche istante per recuperare lucidità, per rammentare la figura spaventosa del criminale comparsa all’improvviso nel salottino. Il terrore riaffiorato dagli angoli remoti del suo cervello. Un orrore nascosto, respinto da qualcosa o da qualcuno. Eppure vivido e palpabile come un ferro rovente ed affilato.
Si trascinò facendosi forza sui gomiti. Ancora troppo stordita per il pugno ricevuto. Perchè era ancora viva quando tutto le faceva presupporre di non doverlo essere?
Poi mise a fuoco i pensieri.
Lui l’aveva colpita allertato da un movimento esterno. Forse di Cheyenne (come poteva essere sfuggito al Pit Bull?), o di Rowena. Ma la governante non gli avrebbe mai permesso di entrare in casa.
Rabbrividì. Di sicuro qualcosa di spaventoso doveva aver fatto alla donna.
Guadagnò metro dopo metro. Rapidamente. Debolmente ma caparbia. Qualsiasi elemento esterno avesse distratto il pazzo criminale poteva fornirle un aiuto insperato. Per quanto desiderasse solo farsi piccina e sparire da quella casa. Tuttavia poteva trattarsi di suo padre. L’unica persona in grado di salvarla.
Giunse sullo stipite della porta d’ingresso impreparata alla raccapricciante visione che l’attendeva: suo padre era davvero lì. Con un fucile puntato contro.
Reagì d’istinto. Senza alcuna ragionevolezza. Spinta da una serie di emozioni sfuggevoli fatte di rabbia e spavento. Afferrando la gamba vicina dell’uomo armato, sbucando dalle ombre della notte.
«Noooooooooooo…..»
urlò chiudendo gli occhi e stringendo con ogni oncia di forza che aveva nel piccolo corpicino. Cogliendo di sorpresa il pluriomicida, sbilanciandolo per la frazione di un attimo. Ne ricavò di fornirgli un nuovo bersaglio; le canne del fucile gravarono contro il suo viso.
Armand Constantine colse l’unica occasione propizia degli ultimi minuti e travolse con il suo peso l’assassino. Non c’era il tempo di estrarre la pistola dalla fondina, non si trovavano sul set di un film dove i buoni fanno le cose giuste al momento giusto. Nello slancio i due uomini rotolarono oltre i gradini, in una furente collutazione per impadronirsi dell’arma. I due corpi finirono avvinghiati in braccia contorte, in mani nervose, in fiato spezzato. Poi partì un colpo.
Il silenzio della notte attorno venne bruscamente scosso nelle sue fondamenta. Angela, incapace di tornare a muoversi, osservò padre e nemico immobili. Con occhi sgranati per strappare una fessura alla luna ingenerosa.
E con il cuore in pezzi vide Mark Littercrown alzarsi ed avanzare ancora verso di lei.
«Abbiamo ancora un conto in sospeso, piccola… ed intendo saldarlo adesso!»
Le si avvicinò di qualche passo e risollevò l’arma portatrice di morte. Il suo volto scavato appariva come un teschio crudele nella fioca luce dei saltuari raggi lunari.
Angela iniziò a piangere. Senza rendersene conto singhiozzava.
Per la scia di morti seminata dall’assassino, per suo padre immoto a terra. Per se stessa.
Fu allora che si avvertì il suono.
Dapprima lento e fugace. Poi sempre più deciso e fastidioso. Costringendo la figlia dello sceriffo a portarsi le mani alle orecchie. Abbassando il capo. Quindi giunse la luce. Feroce. Insopportabile. Avvolse ogni cosa attorno. Un manto argentato che scacciò via la notte.

«Abbiamo molta strada da fare, Mark… devi venire con me.»
Esordì una voce al di là del bagliore accecante, con tono pacato e basso, che Angela percepì come timbro indecifrabile, sparito il rumore di fondo iniziale. Ebbe la netta sensazione di leggere un’espressione di puro terrore nel viso scavato da teschio di Littercrown, che tentò inutilmente di urlare; ma il fiato gli si spezzò in gola. Un’espressione che anelava la morte come utopistica via di fuga. Intuendo che il fato riservatogli sarebbe stato ben più crudele. In un lampo; la luce, il pluriomicida e la voce nel bozzolo luminoso, svanirono. Liberando le tenebre.
Lo sceriffo Constantine tossì. E la figlia gli corse incontro.
Non rividero mai più Mark Littercrown.
Non seppero mai cosa fossero le voci che sentiva, attribuendole semplicemente al quadro clinico di un pazzo che in qualche modo aveva trovato la strada per giungere al ranch. Nè seppero dare delle spiegazioni alla sua sparizione. O a quella di Prot.
Ci vollero diverse settimane per guarire dalla ferita d’arma da fuoco. Un tempo ragionevole se paragonato alla sorte di Rowena, Cheyenne e di tutte le altre vittime. Un tempo persino maggiore ad Angela per recuperare la necessaria stabilità. Eppure, dentro di sè, Armand Constantine era certo che Mark Littercrown stesse pagando un prezzo molto alto….
Il 26 luglio dell’anno successivo, su un lunghissimo rettilineo asfaltato e cosparso dalla polvere del deserto vicino, una corriera lasciò scendere dalla sua corsa un solo cliente.
La zona impervia rendeva perplesso l’autista.
«E’ proprio sicuro di voler scendere qui..? Tra trenta chilometri raggiungiamo la cittadina di Hellmiss…»
«Si, sono sicuro..» gli rispose, voltando lievemente il capo verso il conducente. Mentre sistemava sulla spalla un piccolo zainetto.
«Ma qui intorno c’è solo il deserto dell’Arizona. La prossima corriera non passerà prima di domani…»
«Grazie. Domani andrà sicuramente bene…»
concluse, accennando un debole sorriso. L’uomo allora, scosse la testa e riavviò il pesante mezzo, chiudendo le porte.
La cometa di Kajaswok era passata a meno di tre milioni di chilometri dalla terra, quasi un mese prima. Alcuni erano già impazziti, influenzati dalla sua scia malevola. Qualcuno si limitava ad uccidere il vicino di casa, un membro della propria famiglia. Altri divenivano spietati assassini o, peggio, si tramutavano in killer più folli di quanto già non fossero. E chiunque la vedesse nello stesso istante, restava indissolubilmente legato all’altro. Imprigionato tra i fili del fato. Eventi ricorrenti nella natura umana. Influenzata dalle stelle.
Ma nessuno gli avrebbe creduto. Nessuno gli credeva mai.
Una statuina, sospinta anche dalla folata del vento, scivolò fuori dallo zainetto. Ma venne prontamente afferrata, prima di guadagnare l’impatto con il suolo. I lineamenti del manufatto, di materiale simile alla ceramica, ricordavano vagamente quelli di un uomo. Dal viso scavato, simile a quello di un teschio. Una mimica di panico dipinta nello sguardo smarrito.
«Non hai ancora imparato, Mark? Oh, non preoccuparti: abbiamo ancora tanto tempo da trascorrere insieme…».
Incamminandosi lungo la strada e assaporando il calore del sole sulle lenti scure dei suoi occhiali, Prot rimise la statuina tra le altre. Aveva poco meno di ventiquattrore a disposizione. Prima che le stelle fossero allineate, a disegnare una traiettoria nello spazio. Prima di ripartire di nuovo…
Prot vi saluta così….. http://stat.radioblogclub.com/radio.blog/skins/mini/player.swf
Autore: Keypaxx © Copyright 2007. Tutti i diritti riservati.