Lila e il regalo di Natale

Avere un fratello più piccolo, anche se solo di tre anni, testardo e ribelle, non è esattamente la cosa migliore, per una sorella in difficoltà: Lila lo stava imparando a proprie spese.
«La prossima volta che rinasco, chiedo a mamma di prendermi un pony: meglio un quadrupede di un tredicenne profittatore» mormorò la giovane dai capelli ramati, osservando il panorama dalla cima del Gargano. Monte Sant’Angelo toglieva il fiato.
Dalla bocca di Lila usciva però sotto forma di nuvolette.
Quando la finirò di battere i denti? Si chiese e rimproverò se stessa per averne parlato con il fratello. Arturo voleva interpretare il ruolo di Alban Arthuan, la luce di Artù, indicata dai druidi. Benché ritenuta minore nella Wicca*, Lila ci teneva a celebrare la festa di Yule nel solstizio d’inverno: come da tradizione, aveva bruciato un pupazzetto rosso; il Saturnalicus Princeps raffigurato dalla carta matta dei tarocchi. Sperava così di eliminare la follia e il disordine nella sua vita.
In una sacca di juta caricata sulle spalle, la giovane aveva raccolto rosmarino e zenzero, salvia e altre erbe, insieme a cristalli di quarzo, candele, noci e frutta. Il tempo trascorreva lento e irritante, senza che Arturo arrivasse.
Sarà alle prese con i ritardi cronici della linea ferroviaria, si disse Lila, spazientita.
Il sole stava morendo a ovest e disegnava una linea rossastra calante, sfumata nel giallo ocra e mescolata al turchese dell’orizzonte. La giovane decise di non poter attendere oltre. Prelevò le candele dalla sacca e le mise a terra, accendendole, dispose le erbe con cura attorno ad esse, masticò la frutta e mormorò le frasi apprese dalle fattucchiere.
«Visita interiora terrae rectificando invenies ocuitum lapidem**» disse, inginocchiata sulla roccia fredda. Quindi tracciò delle linee geometriche, spruzzò del sale, versò olio e bisbigliò un’altra serie di frasi esoteriche, omaggiando Ceridwen, la leggendaria strega regina dell’inverno. Il lieve pizzicore che le prendeva il corpo era però ambiguo: si trattava dei fluidi occulti ridestati dal rito oppure dalle correnti gelide che scendevano dal Gargano e sferzavano Monte Sant’Angelo?
Improvviso, nell’aria si sollevò il nitrire di un cavallo.
Lila scrutò tra i nudi speroni rocciosi, verso il centro abitato poco lontano. Nulla. Ognuno doveva essere rintanato nella propria casa, per proteggersi dal freddo opprimente. La giovane abbassò il capo e ripeté le frasi del rito. Il cavallo tornò a farsi sentire e si mostrò: balzò fuori da una vicina stalla in disuso e galoppò verso di lei. Sulla groppa portava un cavaliere in armatura, con tanto di elmo abbassato, scudo al fianco e giavellotto al braccio destro. Lila impallidì incredula, incapace di muovere un solo muscolo: il sortilegio aveva funzionato. Contro qualsiasi nefasta previsione, l’aspirante strega era riuscita a evocare lo spirito di re Artù. Gioia e costernazione le riempivano l’animo. Se soltanto avesse atteso, forse il fratello sarebbe stato testimone del suo trionfo.
«Non vedo. Sono orbo. Il mio regno per una direzione!» I pensieri si bloccarono con la caduta del cavaliere dal cavallo bianco. L’ometto, goffamente, rotolò su un cespuglio perdendo la presa sulle redini e smarrendo l’elmo da sopra la testa.
«Arturo?» disse Lila, riconoscendolo immediatamente.
Lui la guardò triste, mentre si massaggiava il fondoschiena dolorante.
«Come ti sei combinato? Da dove salti fuori?» chiese lei.
«È… il mio regalo di Natale. Volevo farti una sorpresa, nel caso il sortilegio avesse avuto il solito esito» rispose Arturo.
Lila comprese, in un attimo le fu tutto chiaro. Il fratello aveva rotto il salvadanaio per aiutarla nel tornare a casa e toglierla dai guai. E le aveva ricordato la prima vera grande magia a disposizione di ogni uomo: l’amore.
Ricacciò indietro le lacrime e lo abbracciò forte.

*Religione della natura
**Visita l’interno della terra, purifica il tuo essere e troverai la pietra nascosta.

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Nella ideale parte di Lila ho scelto dal 2017 Chloë Grace Moretz.

Lila e il sortilegio

Madama Matalena sfogliò, con estrema cura, il suo grimorio* e intonò una cantilena a fior di labbra: Lila non avrebbe saputo ripetere una sola parola di quanto sentiva e, probabilmente, già da lì partivano le abissali differenze tra la ragazza e la fattucchiera di Bagnoli, all’interno dei Campi Flegrei.
«Adesso stammi bene a sentire, peccerella**: questo è un sortilegio facile, ma molto potente. Se imparerai a controllarlo, potrai avere la persona desiderata ai tuoi piedi» disse Madama Matalena, con un cenno verso il basso «beh, facimmo na cosa ‘e juorno***: alle caviglie, meglio» si corresse subito, notando lo stato disastroso della giovane, scalza da due giorni. Lila arrossì imbarazzata: sporca, stanca e affamata si era concessa quell’ultima possibilità, testarda come al solito, prima di domandare alla donna come arrivare alla stazione ferroviaria.
Con la fortuna di questo periodo, pensava Lila, è già tanto se non incappo nell’eruzione vulcanica dei Campi Flegrei.
«Scrivi su un foglio il tuo nome seguito dalla persona che vuoi sedurre. Aggiungi le date di nascita di entrambi, traccia un cuore rosso, a penna, tutto intorno. Quindi ripeti la cosa per tre volte. Pieghi il foglio tante volte e lo bruci dentro questo braciere» proseguì la donna: bassa e tozza, vestita di nero, con uno scialle dello stesso colore al collo, ansava ripetutamente. Indicò la candela rossa che aveva appena acceso e il braciere tondo, di rame, che già consumava la carbonella gettata dentro.
A disturbare la flebile concentrazione di Lila, si era aggiunto Carmeniello: uno Welsh Corgi, di piccola taglia e rustico, che sembrava la copia sputata di quello della regina d’Inghilterra e che non smetteva un solo minuto di abbaiare. Madama Matalena scrutò nei meandri della stanza, un piccolo sgabuzzino zeppo di cianfrusaglie, scarpe e libri, di uno scantinato sotto ad un palazzo di Bagnoli: ci abitava dispensando fatture e sortilegi a chi le recava visita.
«Ah eccola qui: senza questa pozione l’incantesimo può durare anni. Noi abbiamo bisogno di una prova molto più breve» disse la fattucchiera, afferrando l’ampolla con un liquido verde che ribolliva al suo interno. Lila deglutì: la pozione non aveva un aspetto rassicurante, anche se odorava di menta piperita.
«Mi raccomando peccerella, versane poche gocce dentro il bicchiere e aggiungi un pizzico di zucchero soltanto a quella che berrai tu. Altrimenti il sortilegio avrà effetti imprevedibili.»
La ragazza dai capelli ramati sudava freddo: era la prima vera stregoneria della sua giovane esistenza. Non voleva tradire la fiducia della fattucchiera, distratta da una telefonata in arrivo: «Stai zitto un attimo, Carmeniello: mi metti in confusione» disse agitata, al rumoroso cane accanto alla gamba.
Il Welsh Corgi non voleva sentire ragioni e incrementò il suo abbaiare. Lila perse la concentrazione, scrisse il nome incompleto sul foglio, lo piegò male e sbagliò le dosi dello zucchero lasciando cadere alcune gocce della pozione a terra. Carmeniello, lesto e ingordo, si buttò a capofitto a leccare il liquido verdognolo. Madama Matalena, all’oscuro di tutto, intinse le dita nel resto della pozione all’interno dell’ampolla, disegnando delle figure geometriche a mezz’aria: nel volgere di pochi minuti, il sortilegio era concluso. La fattucchiera fissò Carmeniello, quindi Lila, gonfiò le guance e corse verso il bagno. Il cane smise di abbaiare, cominciò a tubare come una colomba e si attaccò, in calore, alla gamba di una sconsolata Lila. Madama Matalena chiosò ansante, dalla porta chiusa del bagno: «Peccerella, due cose: per prima, devo dirti che hai bisogno di molte ripetizioni e per seconda, devo chiederti di annotare gli sviluppi del sortilegio rovesciato; è un potente lassativo».

*Libro di magia
**Ragazza
***Facciamo una cosa di giorno/Svelto.

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Nella ideale parte di Lila ho scelto dal 2017 Chloë Grace Moretz.

Lila e il figlio di Crono

Tubbia guardò Lila dall’alto in basso e le rivolse un cenno d’intesa. La ragazza dai capelli ramati e le efelidi, rimasta in salopette e maglietta, scalza e senza soldi, si grattò il dorso del piede destro con il sinistro: entrambi erano anneriti sulle piante. Tubbia, un ragazzo basso di statura e magro come un chiodo, i capelli scuri sparati in aria con il gel, aveva all’incirca la sua stessa età. Le indicò un uomo sulla sessantina che vestito da sub caracollava baldanzoso sulla spiaggia, a quell’ora quasi deserta, di Marechiaro.
«Quello è Piuccio, il nuotatore dell’alba, arriva qui tutte le mattine allo spuntar del sole, gira in tondo come una foca e poi torna sulla spiaggia per mangiarsi l’impepata di cozze.»
«Ah. Quindi dovremo farlo con lui presente?» chiese Lila, a disagio, affamata e stanca: non chiudeva occhio da due notti. Il ragazzo le indirizzò un’espressione offesa e, per un momento, lei temette di essersi giocata anche l’ultima possibilità.
«Ti perdono perché stai al nord e non puoi capire: mia zia Giuritta è una strega rinomata, in città. Lei ha intrapreso un percorso dal basso, ha impiegato anni, però oggi padroneggia le arti della stregoneria come nessun’altra. Te lo garantisco» rispose lui, soffermandosi un po’ troppo sopra le curve di Lila.
Alla ragazza non piaceva essere scrutata a quel modo e, in altre occasioni, avrebbe volentieri lasciato partire un sonoro ceffone. Preferì sbattere le ciglia, come una cerbiatta, in una sensuale e appena percettibile danza delle efelidi. Si riteneva a malapena carina, ma sapeva riconoscere l’interesse dei ragazzi nei suoi confronti, quando c’era. Tubbia, appena conosciuto, stralunato e determinato, in un equilibrio precario di contrasti, si era offerto di portarla con sé a Marechiaro. E se Lila non avesse letto qualcosa sulla storia che il ragazzo le aveva imbastito con tanta veemenza, difficilmente si sarebbe lasciata convincere da appetiti che andavano oltre l’impepata di cozze. I due si avviarono circospetti, aggirando lo scoglio principale della costa di Posillipo. Le acque cristalline e incontaminate lasciarono Lila senza fiato: non immaginava che, fuori dalla sua bella Torino esistessero luoghi simili, tanto diversi e così suggestivi. L’entusiasmo ebbe vita breve, giusto il tempo di calpestare un gruppetto di sassi appuntiti, sotto le piante nude dei piedi. La giovane imprecò sottovoce: non desiderava mettere ancora alla prova la pazienza di Tubbia che, al termine di quell’avventura a Marechiaro, le aveva promesso una telefonata a casa per farsi spedire i soldi necessari al rientro.
«Quanno spónta la luna a Marechiaro / pure li pisce nce fanno a ll’ammore / Se revòtano ll’onne de lu mare / pe’ la priézza cágnano culore…» cantava il ragazzo, poi sollevò l’arpione, prese la mira e lo scagliò con forza. La punta della lancia si conficcò in un pezzo di trave che spuntava dall’acqua, poco distante.
«Così ti ingrazierai i servigi di Poseidone, il dio del mare, figlio di Crono e fratello di Zeus: diventerai una grande strega marina, in grado di leggere il futuro degli uomini del mare, proprio come mia zia» disse Tubbia, convinto. Lila sollevò il suo arpione, mirò e lo scagliò con tutta la forza che disponeva nel braccio ma con una mira disastrosa: la lancia andò a sbattere su una roccia vicina. Il ragazzo prese un secondo arpione e diede consigli, su come effettuare il lancio, alla giovane. Lui scagliò l’arma per la seconda volta, con un secondo centro nella trave piantata sul fondale.
Lila si concentrò, sollevò un arpione, prese la mira e lo lanciò con minor forza e maggior mira: dal mare si alzò un grido acuto, intenso e prolungato, che si propagò per decine di metri.
«Mai sentito niente del genere: questo è un segno divino» disse Tubbia, affiancando un’incredula Lila. Si sollevarono spruzzi e bolle: i due rimasero a bocca spalancata, aspettandosi di vedere la figura del dio del mare, Poseidone.
«Assassini! Il vino voi lo bevete: orbi maledetti!» Ululò invece Piuccio, agitandosi con l’arpione conficcato in una chiappa.

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Lila e il mago di Napoli

Perduto il portafoglio e il telefonino, Lila cercava il modo migliore per lasciare Napoli e il quartiere di Fuorigrotta. Sulla sinistra i boschi spingono fino a un monte assolutamente rispettabile, cinto dalla riga bianca di una strada e sulla cima del quale biancheggiano le mura di un antico castello. Credo che questa collina si chiami Monte Sant’Angelo, diceva Sigmund Freud, aveva letto la ragazza dai capelli ramati, da qualche parte di una guida turistica prelevata in un angolo della strada. In realtà, Lila si sentiva piuttosto scoraggiata: era scesa dal Piemonte per trovare la giusta direzione sulla strada della magia.
Per la prima volta, da quando si era incaponita in tal senso, iniziava a temere che la zia Costanza non avesse tutti i torti: l’occulto non esiste e se dovesse, per assurdo, esistere sul serio, come pensi di poterlo trovare tu? Non si chiamerebbe così! Le diceva la sorella della madre, che l’aveva adottata da bambina, insieme al fratello Arturo. Lila rimase seduta sul bordo del marciapiede, pensando al fratellino rimasto da solo, su al nord perché lei, da irresponsabile, aveva preferito seguire i propri impulsi. Finora, la ragazza aveva collezionato delusioni di ogni tipo, passando da fasulle messe nere a grotte infestate da fantasmi con le lenzuola bucate. In alcuni frangenti, Lila aveva rischiato la propria incolumità fisica, delle relazioni sessuali non consenzienti con sconosciuti e persino l’innocenza del fratello minore Arturo: l’aveva scampata, spesso, per un soffio. Adesso non le sarebbe dispiaciuto immergersi in una nuova esperienza senza dover correre i soliti rischi. Sperava nel mago Hudinni: uno stralunato ometto, più basso di lei, che vestiva in frac e non conosceva un’acca della lingua inglese.
«Vuole dire Houdini, il celebre illusionista. Lei ha scelto di chiamarsi come l’uomo delle fughe impossibili?»
Aveva domandato lei.
«Hudinni, certo. Hudinni. Io che ho detto, peccerella*?»
Aveva risposto lui.
Tentennante, ma senza niente di meglio da escogitare Lila si era aggregata al buffo ometto. Perché no, si disse, come dice zia, devo vedere l’occulto per essere sicura che esista: chi meglio di un prestigiatore potrebbe indicarmi la via?
Hudinni, sebbene in apparenza innocuo, evidenziò subito un difetto pesante: fumava come un turco. Lila dovette riempire le tasche della salopette bluette, che indossava sopra una t-shirt verde come il colore dei suoi occhi, con pacchetti di Marlboro.
«Allora, vi mostro come una sigaretta abbia una vita breve. Anzi, brevissima. Voi l’accendete, la portate alle labbra e puff, svanisce via come un coriandolo soffiato dal vento» disse Hudinni, accendendo una sigaretta dopo l’altra, accanto a un banchetto che aveva improvvisato in mezzo alla strada: fuma di qua, fuma di là, i pacchetti venivano consumati che era un piacere. Lila vide le tasche svuotarsi con una velocità sbalorditiva, passando ogni singola sigaretta al buffo ometto. Tra qualche applauso e qualche mormorio di apprezzamento, il numero di sparizione della sigaretta proseguiva senza intoppi e il piattino sopra il banchetto si riempiva di monete. Andarono avanti così. L’odore di fumo divenne insostenibile, per Lila, sul finire della serata: non capiva da dove provenisse. Guardò verso i piedi, le sneakers rosse con le strass, e vide uscire degli sbuffi grigi: le sue scarpe stavano fumando. Hudinni le tirò un’occhiataccia. Ma Lila, insieme al fumo, avvertì anche delle ondate di calore alle piante dei piedi e urlò spaventata.
«Stàtti cìttu**, peccerella. Cìttu. Cìttu!» le disse il mago, allarmato per il rischio che la gente scoprisse il suo trucco.
«Eh? Se credi che me ne stia qui a farmi bruciare dalle tue sigarette, sei davvero un illusionista illuso» gli rispose Lila. Tolse le sneakers e gliele scagliò dietro, imprecando contro la nicotina, i maghi improvvisati e chi non conosceva l’inglese.

*Ragazza
**Stai zitta

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Lila, voodoo e cera da scarpe

Lila strabuzzò gli occhi, animando le efelidi sopra le gote del viso: sembrava una fata irlandese, una banshee uscita dai miti scozzesi. Le accadeva di non riuscire a trattenere una smorfia di perplessità, trovandosi di fronte a spettacoli incerti come quello. Il suo viso rifletteva pienamente le emozioni, procurandole spesso noie e smascheramenti. Forse, una delle rare situazioni in cui la cosa poteva non rivelarsi un problema, era proprio quella: il maestro Baron Turbe non le prestava alcuna attenzione, troppo impegnato nel suo rito.
Speriamo, chissà sia la volta buona si disse la sedicenne dai capelli ramati. Presa da un vago senso di scoramento, Lila aveva deciso di spingersi al sud, per raggiungere lo scopo della sua giovane vita; diventare una vera strega. Aveva letto di un celebre sacerdote che si trovava a Fuorigrotta: una sorta di santone capace di praticare alcune delle misteriose e suggestive cerimonie della religione Vodun, molto diffuse a New Orleans e ad Haiti. Appena conosciuto il maestro, che esercitava in uno dei più popolari quartieri napoletani, in una stanza adibita con maschere e ornamenti di ogni genere, candele e un altare al centro, Lila avvertì sensazioni contrastanti. Di buono c’era che Baron Turbe non le aveva fatto domande a carattere sessuale, né le aveva chiesto di spogliarsi nuda. A parte quello, l’uomo le destava comunque varie perplessità. Allampanato, nero come la notte, con barba bianca e pelato, aveva folte sopracciglia che si alzavano e abbassavano per via delle continue smorfie: Lila temeva fossero dei tic nervosi, perché il maestro ripeteva le stesse frasi, come se avesse dimenticato di averle pronunciate poco prima. Aveva rincorso una gallina per un buon quarto d’ora, per riuscire ad acchiapparla e stringerla al collo: con il fiatone, la sventolava a mezz’aria, come si farebbe con un fazzoletto.
«Maestro…» disse Lila, con timore, sollevando un dito «è proprio necessario fare del male a questa gallina? Io sarei, ehm, contraria alla violenza sugli animali.»
Baron Turbe si voltò verso di lei, come se la vedesse solo in quel momento. Il viso del maestro presentava vari graffi, dovuti alle reazioni agitate della pollastra, indossava una lunga vestaglia bianca – in netto contrasto con il colore della pelle – che presentava varie macchie e chiazze non ben identificate.
«Ragazza, il rito ha bisogno di un sacrificio per funzionare. Altrimenti i Bokor ci volteranno le spalle, lasciando campo libero agli Yoruba: non bisogna contrariare i Loa» le rispose il maestro. Lila comprese solo la minima parte del discorso. Chi fossero le persone nominate da Baron Turbe, era un mistero.
La gallina, probabilmente imparentata con un gallo cedrone, decise di tentare un’ultima sortita: piazzò una nuova serie di vistosi graffi sopra il voluminoso naso adunco del maestro e ingaggiò battaglia anche con il becco, chiocciando come una furia pennuta. Baron Turbe ne ebbe ragione dopo uno scontro cruento, il sangue imbrattò la vestaglia già sporca di suo. Senza fiato, seduto di peso sopra una panca, fece cenno a Lila di aspettare qualche istante, mentre la gallina ancora si dibatteva nel suo pugno. Quindi si alzò, avanzò claudicante verso lo stereo e lo accese: dalle casse ne uscì una canzone, che la ragazza con le efelidi parve riconoscere.
Lascia che il mio Voodoo lavori eh / Funziona con tutte ma non con te! / Latte di letto, talismani e fiori / È un filtro speciale fatto apposta per te.
La gallina, ispirata dalle note blues chiocciò. Mentre il colore scuro, simile a cera da scarpe che colava dal viso di Baron Turbe, insieme al sangue dei tagli, rivelò il bianco sottostante; la pollastra si mise d’impegno e l’uovo le spuntò dietro. Lila, allibita, guardò il finto cerimoniante che perdeva i pezzi e il complice sbucato dalla porta d’ingresso che metteva il palmo della mano sotto la gallina: «Guagliò…» disse il nuovo venuto «fagliene fare un altro, che stasera si mangia!»

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Lila e la guida sicura

«La prima regola è di non mentirmi mai. Perciò ti ripeto la domanda: sei vergine oppure non lo sei?»
«Tecnicamente sì. Lo sono» rispose Lila con un sospiro, gli indici delle dita l’uno contro l’altro, in imbarazzo.
Carmilla alzò lo sguardo verso il soffitto, rassegnata. «Ne sei certa? Non hai avuto delle esperienze sessuali con altre persone? Ho bisogno di totale trasparenza, da te.»
«Beh, ecco… esperienze, vere e proprie, no. Però –»
L’esperta strinse la parte superiore del naso con due dita: sembrava sul punto di perdere la poca pazienza che, Lila aveva già notato, non era tra le sue qualità migliori. Seduta su una sedia dallo schienale patronale, foderato in velluto scarlatto, Carmilla aveva acceso cinque candele e le aveva appoggiate ai bordi del tavolo rotondo, a formare i vertici di un pentacolo. Lo studio in cui Lila era stata ricevuta odorava d’incenso, vaniglia e qualcosa di curiosamente molto simile alle carote fritte: nascosta sotto un drappo che scendeva dal soffitto, c’era una padella con gli avanzi del pranzo.
«Ci sono vari tipi di specializzazione. Abbiamo la Wicca, legata al culto della natura con l’uso di erbe, oli e cristalli. Abbiamo il Druidismo, legato alla tradizione e ai riti del paganesimo e alle pratiche ancestrali. Abbiamo le stregonerie esoteriche, come i Fari e la Santeria, che richiedono un legame particolare con il proprio luogo di appartenenza. Ma –» precisò Carmilla, sollevando le folte sopracciglia bianche che celavano occhi di un celeste slavato e profondo «se non conosci la tua condizione fisica e spirituale, se nutri dei dubbi in relazione a ciò che hai fatto, il tuo cammino sarà incerto e la meta nebulosa.»
Lila si sentì avvampare in viso. Forse non conosceva così a fondo se stessa, come sperava. L’aspirante strega rincorse i ricordi che le si accavallavano in testa: li mise in ordine e tentò di illuminare la confusione che la domanda diretta le aveva scaricato addosso.
Sei vergine, Lila? Dunque vediamo: c’è stata quella volta in terza superiore, durante la gita scolastica a Ivrea — no, ci siamo fermati a un bacio sulle labbra. Quindi quella sera in cui io e Mirta ci siamo scolate una bottiglia di Pinot e mezza di Grignolino? — no, è stata lei ad andare fino in fondo e io mi sono fermata un attimo prima. Allora quella volta che Arturo mi ha spalancato la porta della doccia, mentre io stavo provando un massaggio inguinale che mi aveva suggerito mia cugina Roxana? — no, Arturo è scivolato sul sapone e mi ha tirata giù facendomi sbattere le chiappe.
Lila osservò Carmilla in attesa, a braccia conserte. Ora sudava freddo. Pigiò di nuovo gli indici uno contro l’altro. Sentì salire le lacrime agli occhi. L’esperta guida alle arti occulte piegò la curva schiena verso il pavimento, prese la padella e aprì il ripiano di cottura alle spalle. Lila sbiancò. I singhiozzi le esplosero dalla gola.
«Io non lo so più. Giuro. Sono confusa — sob. Mi dispiace.»
Carmilla inarcò un sopracciglio, con un tono quasi materno, disse: «Su, su Lila, dovevo giusto prepararmi delle polpette di carote. Suppongo tu sia ancora a stomaco vuoto, vero? Con la pancia piena ti sentirai molto meglio.»
«Sob — grazie, sei molto gentile. Sì, non mangio da ieri. Ero così preoccupata di questo incontro…»
«Ma no, ma no tesoro. Mentre mangiamo, ci rilassiamo anche con un po’ di televisione: inizia tra poco Ragazze interrotte, la mia telenovela preferita.»
«Cosa? Una telenovela? Ma io ero venuta qui per –»
«Lo so. Apprendere le arti della magia. Ecco perché abbiamo bisogno di partire dalle basi: su Ragazze interrotte iniziano dagli sguardi, poi il bacio sulla bocca e così via. Vedrai: non ne perderai una sola puntata. Io lo seguo da dodici anni.»
Lila restò a bocca aperta davanti all’esperta guida. Guizzò gli occhi da lei alla padella con il pangrattato, alla sigla iniziale della telenovela.
«Ce l’hai una coca-cola? Quando piango, le bollicine mi aiutano» disse la ragazza, tirando su con il naso.

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Lila è una strega

«Adesso taci. Devo concentrarmi. Altrimenti ti trasformo in un rospo a sei zampe: poi chi li sente più, i monaci.»
Bozo sistemò gli occhialini tondi, facendo attenzione a non piegar troppo l’astina destra, messa insieme con del nastro isolante bianco. Si schiarì la voce e agitò le mani in aria: Lila si domandò per l’ennesima volta chi glielo avesse fatto fare.
«Forse ti riferisci alle formiche, Maestro Bozo.»
Lui la squadrò da capo a piedi, spazientito.
«Il numero di zampe, intendo: sei ne hanno le formiche, otto i ragni, mentre quattro soltanto ne possiedono i rospi» precisò Lila, mordendosi la lingua per la consueta petulanza.
«Oh-oh-oh…» rispose Bozo, sarcastico. «Ha parlato l’esperta, la donna che fu la rovina di Sansone, portandolo a tradire fede e ideali: la più subdola e malvagia femmina della Bibbia.»
Con un gesto brusco, Bozo ritenne conclusa la questione. Si comportava sempre a quel modo, quando la ragazza dai capelli rossi e gli occhi verdi smeraldino osava correggere le sue presunte imprecisioni. Si aggrappava al nome anagrafico completo che lei odiava più di ogni altra cosa: Dalila. A chi desiderava stuzzicarla, bastava conoscere quella sua debolezza.
Lila si strinse nelle braccia. Maledì la Val di Susa e i torrioni freddi della Sacra di San Michele. Poi si mise l’animo in pace: era piena notte, durante il solstizio d’autunno. Che altro poteva aspettarsi, di meglio? Almeno, grazie all’amica Mirta, era riuscita a svincolarsi dal fratellino Arturo.
Bozo prese a borbottare frasi incomprensibili, muovendosi a scatti, come una marionetta rotta. A Lila ricordava Ernesto, lo zio alcolizzato finito in delirium tremens.
«Anal Natrack…» attaccò il Maestro, smanacciando in direzione della ragazza, che strabuzzò gli occhi perplessa «Orth’ bháis’s bethad! Do chél dénmha!»
Intorno ai due, si sollevò un vento gelido che penetrò dentro le ossa, per poi tuffarsi giù, in mezzo ai torrioni e nella valle.
«Ecco… abbiamo terminato: adesso sei una vera strega. Ti porgo il mio benvenuto nel mondo delle arti occulte.»
Lila scrutò con attenzione il proprio corpo, partendo dai piedi piccoli, risalendo lungo le gambe magre e nude, oltre il pube esposto, i seni tondi e liberi. Non avvertiva alcun cambiamento. Tutto era familiare in lei e fuori: compresi i versi pronunciati da Bozo. Un sottile dubbio le serpeggiò dentro.
«Quelle frasi magiche… io le ho già sentite, prima» disse.
«Ovvio. Le pronuncia Merlino in Excalibur e nel mio telefilm preferito» le fece eco una terza voce, sbucando dalle ombre.
«Arturo. Tu che cosa cavolo ci fai qui?» lo incalzò Lila, imbarazzata. Per quanti sforzi facesse, poteva coprirsi solo una parte dei seni e l’inguine, con le mani.
«È altrettanto ovvio, Lila. Per trasferire in te le facoltà magiche di Morgana avevo bisogno della presenza di Artù. Non ricordi la leggenda? I due fratellastri consumano l’incesto, per generare ser Mordred, figlio del loro rapporto e culmine della stregoneria desiderata dalla potente incantatrice Morgana.»
Lila iniziava a provare un forte disagio nell’aver acconsentito a mettersi nuda di fronte al Maestro Bozo, quasi sospettava che le venisse richiesto un prezzo di natura sessuale. Arturo le scrutava le parti scoperte, interessato quanto un adolescente ottuso in piena tempesta ormonale.
«Ti prego, Maestro Bozo: aspettami. Voglio onorare Dalila, il suo cuore nero come l’inferno e velenoso quanto una vipera» disse Lila.
Dopo quella notte, i monaci s’interrogarono a lungo sulla possibile identità delle tre figure che correvano fuori dall’abbazia: un tizio basso e grasso in fuga, una giovane nuda armata di bastone che lo rincorreva e dietro un ragazzino che canticchiava le frasi rubate a un film su re Artù.

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Nella ideale parte di Lila ho scelto dal 2017 Chloë Grace Moretz.

Arriva Lila

Sembra una fata irlandese, magari una banshee uscita dai miti scozzesi. E invece no: è solo un nuovo progetto narrativo a cui sto lavorando. Sciagurata e un po’ folle, ingenua e caparbia troverà spazio, per ora, sopra le pagine del mio laboratorio di scrittura… prossimamente, — scrivevo così, all’inizio di questo stesso anno in un post pubblicato attraverso i vari social network dove sono iscritto. Dopo Belladonna, apparsa per la prima volta a febbraio, tocca al nuovo scritto presentato, molto essenzialmente, con le righe ripetute in apertura: Lila, per amici, parenti e conoscenti; Dalila, all’anagrafe. Occorre tenerlo bene a mente, perché lei non ama il suo nome proprio per esteso, come le ricorda Bozo – il primo compagno di avventura di cui, a breve, farai la conoscenza – la donna che fu la rovina di Sansone, portandolo a tradire fede e ideali: la più subdola e malvagia femmina della Bibbia. Se sia davvero figlia di questa descrizione, non lo anticipo. Tuttavia, se è vero quanto si dice sulle persone con i capelli rossi, sulla storia di Maria Maddalena, sulle poesie di Apollinaire e Baudelaire, oltre che su numerose altre testimonianze, le rosse sono femmine da prendere con le molle. Verità o mito, gli egiziani diffidavano di loro, nel Medioevo quel colore di capelli rappresentava il marchio della stregoneria ed era sinonimo di passione proibita, di tradimenti e animi infuocati. Persino oggi, nel disincantato ventunesimo secolo, c’è il sospetto che quando una donna cambia tinta di capelli nel colore rosso il tradimento è dietro l’angolo. Ovviamente nulla di tutto ciò è mai stato scientificamente provato: le dicerie si accompagnano alle infinite altre che, da sempre, abitano il pregiudizio umano. Ho avuto difficoltà, stavolta, a visualizzare il volto e il corpo che, abitualmente, caratterizzano le fattezze delle mie eroine: in parte a causa della giovanissima età e di una chioma scarlatta non immediata, nelle attrici in erba. Alla fine, la scelta è ricaduta sulla piccola Chloë Grace Moretz, celebre per l’irriverente Kick-Ass, Amityville Horror e per Hugo Cabret: simpatica, abile nello sberleffo e smorfiosa quanto basta. Al momento di ideare questa nuova serie ho tenuto in considerazione quanto sopra ricordato e molto di più.
Da bambino seguivo una serie di cartoni animati che adoravo: Bia, la sfida della magia. Chi ha superato la quarantina, oppure chi ha avuto la fortuna di vederne, come me, le repliche non ha bisogno di presentazioni. Bia è una streghetta quindicenne, scesa sulla terra per intraprendere un apprendistato nelle arti occulte e diventare la prima pretendente al titolo di Regina delle Streghe. Il cartoon è molto divertente, frizzante e, in alcune situazioni, persino piccante. Lila è figlia naturale di quelle atmosfere, ma soltanto nello spunto e in qualche accennato frangente: nulla di più e nulla di meno. Volevo creare un serial votato al fantasy, meglio ancora al dark fantasy: ne è venuto fuori un testo ben diverso dai presupposti iniziali, dove il genere pare voler sbeffeggiare se stesso e compare appena di sbieco, in chiave adulta. Dalila – pardon Lila, perché non è il caso di farla arrabbiare – non vive in un cartone animato ma nel nostro stesso mondo con pregi, difetti, gioie e angosce di noi tutti. Abita in una Torino da sempre accostata alle arti occulte e le insegue, senza mai perdersi d’animo. È l’allegoria delle fiabe e dei sogni, il pretesto della storia, come spesso scrivo. E, sullo sfondo, non c’è solamente il capoluogo piemontese, perché i sogni non hanno confini: vanno desiderati, bramati, mai dimenticati. Sono come aquiloni leggeri, seguono il sottile e invisibile sentiero del vento, ci portano verso l’orizzonte lontano solo per rammentarci che, alla fine, il filo sottile è legato, indissolubile, alla nostra mano. C’è quindi una ragazza dai capelli rossi e le efelidi ad attenderti, dietro la porta: ci sono Arturo e Bozo, Carmilla e Baron Turbe.
Dissacrante, impertinente, ingenua e libera c’è la voglia di esaudire i desideri. Lila sta arrivando.

Autore testi: Keypaxx © Copyright per questo testo dal 2017. Tutti i diritti riservati.
Immagini © Copyright aventi diritto: “Ragazza capelli rossi e Chloë Grace Moretz” dalla rete.