Flash e la noia

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Sembrerebbe quasi strano pensarlo, eppure è così; oggi mi annoio. Il problema è molto semplice: sono una donna abituata ad essere sempre in movimento. Il mio lavoro, quello che mi permette di vivere e la mia più grande passione (sono fortunata in questo), è in pausa. Ho completato una serie di lunghi servizi per la rivista con cui collaboro assiduamente, contemporaneamente a quelli del mensile della stessa casa editrice (il mio vero “datore di lavoro”, per quanto una freelance possa ritenere di averne uno). Ho anche sistemato il mio appartamento; non ho mai tempo per viverlo più di quello necessario al sonno e, qualche volta, al mangiare. Però questa volta ho voluto fare le cose in grande, portandomi avanti persino con le pulizie. Peter è fuori città… potrei raggiungerlo, ma la sua lontana parente, presso cui si trova, ha gravi problemi di depressione e non desidera avere troppe persone intorno. Persino papà si trova distante; un viaggio in America per fare visita a mio zio, il suo unico fratello ancora in vita (ci penso mentre mi guardo attorno, alla ricerca di qualcosa di idoneo da indossare, con addosso solo un paio di jeans e reggiseno. I piedi nudi che si muovono nervosamente sopra un pavimento freddo). Le amiche? Quelle che varrebbe la pena di andare a trovare sono impegnate nel lavoro quotidiano (in fondo sono appena le tre del pomeriggio), oppure sono a spasso con i loro bimbi appena nati. Forse mi manca una famiglia; un figlio, o più di uno, da accudire, un marito da gestire… dopotutto sono una donna quarantenne (anche se non li dimostro). Ma, essenzialmente, sono uno spirito libero. Mettimi sopra un aereo per un servizio da seguire dall’altra parte del mondo, fammi attraversare il traffico cittadino per raggiungere la redazione del mio editore, fammi gestire una serie di album fotografici per la pubblicità… posso farlo. Non temo nessuna sfida. La sola che mi smonta è restare a mani vuote. La sola che mi opprime è la noia.
«Dove ho messo il biglietto da visita di quella nuova casa editrice?». Così la prendo di petto, tuffandomi verso un mondo che mi aspetta.

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Nella ideale parte di Flash ho scelto dal 2010 Sandra Bullock.

Lo sfogo di Flash

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Arrabbiata. Furiosa. Iraconda. Senza controllo. Qualche volta mi sento così. Il brutto è che mi sta accadendo un po’ troppo spesso, negli ultimi tempi. Guardo i notiziari alla televisione e rimango allibita: mi chiedo come sia possibile che la natura umana possa spingersi a tanta crudeltà. C’è di peggio e di più: padri di famiglia che fanno del male ai loro stessi figli o viceversa. Persone di cui ci si dovrebbe fidare, che dovrebbero rappresentare le radici e il punto fermo in una società difficile, complicata. Mi sono sempre rifiutata di accettare servizi di cronaca, quelle poche volte che mi sono stati offerti ho declinato gentilmente ma con fermezza. Io fotografare il frutto della violenza scaturito tra le mura domestiche? Sotto il tetto confortante di una chiesa? Dietro ai banchi di scuola? Non lo ho mai accettato e non succederà. Ho preferito tirare la cinghia per un lavoro perso che essere costretta a fare i conti con la mia coscienza. Lo sciacallaggio lo lascio agli altri, quelli con il pelo sullo stomaco e la morale sotto la suola delle scarpe. Però questo non mi esenta dall’affrontare situazione difficili e senza via di uscita. Prendiamo il caso di Francesca. Una madre di famiglia, lasciata dal marito e con un figlio da crescere, con tanti anni di onorata carriera alla scrivania del settimanale per cui anche io lavoro oggi. Eppure i suoi meriti, le sue qualità, la sua umanità, le sue necessità sono servite a qualcosa, ad avere un minimo di riconoscenza? No… quando si tratta di tagli del personale prestabiliti, non ci sono onori ma solo oneri. Così eccomi qui adesso; a vomitare tutta la mia rabbia, tutta la mia disperazione, tutta la mia frustrazione battendo i pugni contro il petto di Peter, dopo che nessuno si è degnato di ascoltarmi in redazione. Sono fortunata, io posso sfogarmi. Ho qualcuno che mi sopporta. E mai come oggi mi rendo conto di quanto sia importante. Penso a Francesca: su quale petto batterà i suoi pugni? Domani riprenderò in mano la mia digitale, domani mi occuperò di altri scatti. Ma per stasera lascio il fermo immagine.

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Flash e il virtuale

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In fondo non sono passati molti anni da allora, sebbene possa sembrare un’altra vita. Eppure non è stato sempre così. Quando ci si doveva incontrare, bastava un luogo di ritrovo comune: talvolta la biblioteca, altre volte il bar sotto casa, oppure il parco dall’altra parte della strada. Gli incontri avvenivano per il piacere che accadessero. C’era il volto, c’era la voce, c’erano gli odori, c’era il tatto. Oggi, anche se molte cose sono state abilmente replicate e molte altre lo saranno in futuro, non è più così. Lo vedo con i ragazzini del circolo di fotografia, tutti a chiedermi se ho un profilo sui social network. Lo vedo con la mia piccola amica al primo piano del palazzo di fronte, presente in ogni angolo della rete con le sue storie adolescenziali, le sue fotografie con le ultime scarpe alla moda.
Ora gli incontri avvengono sul web. Il progresso ha permesso di avere centinaia di amici, tanti quanti si potevano conoscere in una vita intera. I ragazzi trascorrono interi pomeriggi, intere serate a raccontare, spesso a un amico virtuale che non vedranno mai, le loro ansie e le loro gioie. Nascono amicizie e nascono amori, nascono delusioni e nascono dolori, nascono invidie e nascono rancori. Tutto viene vissuto amplificato, la cassa di risonanza non è più il quartiere e nemmeno la città: la cassa di risonanza diventa il mondo intero. In un certo senso vengono anche abbattuti i pudori e le riservatezze, si mira a condividere le proprie emozioni e le proprie passioni. Ma, lo ricordo, non è stato sempre così. Per chi ha conosciuto la realtà fuori dal virtuale, per chi è ancora capace di non lasciarsi catturare dalle mode del momento, esiste ancora la biblioteca, il bar sotto casa e il parco dalla parte opposta della strada. Esistono. Così chiudo le finestre, spengo il pc e gli interruttori della luce, rivesto la mia pelle con due dita di profumo ed esco. Con me la mia fedele macchina fotografica. Alle spalle un mondo virtuale che lascia spazio al reale.

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Flash e Angela

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Li guardo mentre si passano le posate e quasi non mi sembra vero di essere riuscita ancora una volta nella impresa: si tratta di un piccolo grande successo, uno di quelli da scolpire nella roccia, ritrovarsi alla stessa tavola con papà e mamma. Mia sorella Carlotta è all’estero, dall’altra parte del mondo, ma non potevo in nessun modo permettere a questo di saltare la nostra cena di famiglia. Lei è qui con noi, anche se a migliaia di chilometri di distanza. Esattamente come Angela, che è in un posto da cui non tornerà mai più. E questo è il decimo anno dalla sua partenza.
«Mi passi un po’ di sale, Giovanna?»
«Eccolo. Hai sempre l’abitudine di salare troppo quello che mangi, a quanto vedo. Che cosa ti ha detto il medico?»
Una tregua. Ecco di cosa avevano bisogno, una piccola pausa una volta l’anno. La sola in grado di riavvicinarli e di farli sembrare una coppia ancora unita. So quanto durerà; lo spazio di una cena. Il momento di ritrovarsi per ricordare. Poi tutto ritornerà come prima. Papà si dimostrerà insofferente alle osservazioni mosse da mamma e riprenderà la sua strada senza voltarsi indietro. Mamma si stancherà di parlare con qualcuno che non presta il minimo ascolto e si richiuderà nel suo mutismo. È una scena andata in onda molte altre volte e dall’esito scontato. Prima mi impegnavo, per cercare di farli ragionare e convivere, poi ho cercato di passare oltre e comprendere come sia impossibile risanare un rapporto che non ha più il minimo fondamento.
Ma anche questa volta ci sono riuscita. Riuniti. Per Angela.
Sono istanti da contare sulle dita di una mano, in cui il prezzo da pagare sembra irrisorio, in confronto alla pace che riescono a trasmettere alle nostre anime.

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La favola di Flash

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Ti racconterò una favola. Ma fai attenzione; la mia non è una favola come le altre, non è una di quelle favole che puoi ascoltare, dalla dolce e rassicurante voce di una madre, mentre sei steso sul letto in attesa che il sonno arrivi. La mia è una favola moderna senza carta da leggere e penna per scrivere, una di quelle che soltanto una fotografa può raccontarti; una favola per immagini. E allora scatterò per te il risveglio del giorno, quando i colori sembrano stesi sulla tela di un pittore, quando il cremisi si mischia al tenue giallo di un sole assonnato e un arancio brillante li tiene per mano, accompagnandoli nel primo tratto di una staffetta tra il buio e la luce. Scatterò per te la piatta superficie dei laghi, perchè la loro calma possa donarti la serenità necessaria per affrontare gli ostacoli della vita, perchè tu possa trarre freschezza ed energia dal lento scorrere dell’acqua. E poi scatterò per te il serpeggiante danzare della fiamma di un falò sulla spiaggia, perchè tu possa sentirti riscaldato anche durante il freddo della stagione invernale perchè, nei momenti in cui ti sentirai solo, tu possa avvertire il benessere e la compagnia del calore. Poi andrò a nord, sopra la scogliera più ripida, per fotografare gli alberi e la terra sferzata dal vento più impetuoso, perchè dovrai vedere come si riesca a restare in equilibrio, nonostante l’aria stessa sembri schiacciarti, nonostante ti sentirai perduto e in balìa di un destino senza cuore.
Questi saranno gli scatti che preparerò per te; mentre camminerai per il mondo all’alba di un nuovo giorno, sfiorando la riva del lago dormiente e puntando lo sguardo lontano.
La mia è una favola moderna senza carta da leggere e penna per scrivere, una di quelle che soltanto una fotografa può raccontarti; una favola per immagini.
La favola per te, figlio mio.

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Flash e l’uomo con il potere

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Non dovrei lasciarmi coinvolgere. È una delle prime regole quando si decide di abbracciare questo mestiere. La realtà viene immortalata nel preciso istante dello scatto; nè un istante prima, nè un istante dopo. Si possono e si devono provare le emozioni. Siamo essere umani pensanti, sarebbe impossibile il contrario. Tuttavia, se si vuole vivere di fotografia, occorre imparare a non lasciarsi dominare da esse. Perchè la realtà che si vuole imbrigliare nel sussurro di una frazione del tempo, può essere piacevole. Ma può anche essere rivoltante. E allora potrebbe colpirti con un sonoro schiaffo sulla faccia: sarebbe il danno minore. Spesso, invece, preferisce puntare verso il basso, alla bocca dello stomaco. Dove, forse, non lascerà dei lividi sulla pelle, in grado di essere mostrati a tutti. Dove, invece, scaverà dentro. Raggiungendo le viscere, rovesciando il tuo intimo come si rovescia un guanto. Penso a questo mentre assisto al suo comizio. L’uomo con il potere ha studiato a lungo prima di parlare alla folla. Sa quali corde carezzare, sa quali promesse elargire. Il suo è un gioco a carte; e quando viene scoperto a bluffare non si lascia dominare dall’assenza della sua concretezza. No, rilancia. Rinnova il suo impegno con altre promesse. Magari le stesse. Purchè possano essere rivestite con un altro abito. L’uomo con il potere sa come parlare in pubblico; è il suo vero mestiere. Talvolta l’unico. Poco importa se non riesce a fare breccia su ogni orecchio che l’ascolta. Gli è sufficiente la maggioranza. Poco importa se è una maggioranza che ha già tradito; sarà in grado di attecchire ancora. Così proseguo nei miei scatti; è il quarto servizio, il quarto anno consecutivo, che gli dedico. Riesco persino a riconoscere qualche volto nascosto nella folla. Un anno entusiasta, poi tirato, poi passivo. L’uomo con il potere è bravo davvero in quel che fa riuscendo a non farsi coinvolgere. Per me è diverso. Porterò il servizio in redazione. È il mio lavoro. Spero però che lo stomaco smetta di farmi male.

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Flash e la promessa

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La zia Carla ha ormai una certa età. Non si è sposata preferendo rimanere uno spirito libero – e per non creare problemi alla persona che le fosse rimasta accanto, a causa di un carattere per nulla accomodante -. Non è neppure una parente stretta, in realtà si tratta di una lontana cugina da parte di mia madre. Sono cresciuta riconoscendola come una vera e propria zia. Certamente mi lega a lei un’affinità che non ho mai avvertito in altri parenti.
Lei desidera accanto soltanto me e Orazio.
«Zia Carla mi ha chiesto di uscire a prenderle una coppetta di gelato panna e cioccolato. Ci andrò più tardi, Nica…»
Mio cugino Orazio non le dice mai di no e, sotto certi aspetti, verso di lui prova un affetto superiore di quello che prova per me. Ne sono cosciente. Ho imparato ad accettarlo da qualche anno. In principio non lo comprendevo, forse persino mi disturbava sapendo quanto l’interesse di mio cugino, nei confronti dell’anziana zia, fosse minore e più marginale di quanto lei stessa meritasse. Eppure il suo viso diventa più luminoso e sereno, quando Orazio le porta il gelato. Ultimamente, le attenzioni di mio cugino si sono fatte ancora più labili e marginali e il volto di zia Carla tende a illuminarsi ogni giorno di meno.
«Orazio mi ha promesso che arriverà con il gelato… sai, Nica?»
la guardo con tenerezza e ansia; non sarebbe la prima volta che rimane delusa dalle false promesse di mio cugino. Decido di non rischiare oggi e intervengo con un’idea chiara in testa.
«È corso via, ma si è fermato un attimo giù in strada. Ecco perchè sono uscita. Mi ha detto di salutarti tanto e dartelo…»
zia Carla mi guarda perplessa: non so se abbia compreso o meno. Ma, con la sua coppetta di panna e cioccolato tra le mani, distende il viso in un’espressione di comprensiva serenità.

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Flash e la pioggia

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Guardo la pioggia scivolare sopra il vetro della mia finestra: disegna strisce irregolari e curve mentre scende verso il basso per perdersi nel vuoto. È una giornata in cui, l’acqua caduta dal cielo, si riversa senza risparmio sulla nuda terra degli uomini. Ne approfitto per fissare il mondo di fuori, dentro i contorni di una fotografia. Così, da dietro un vetro, in una pigra giornata di settembre. Quando la luce del giorno è inghiottita dalla cappa di un grigio piovoso. Uno di quei giorni in cui la malinconia si fa strada e ti sussurra di altri momenti traboccanti di vita, di risate e di gente, in una spiaggia estiva tempestata da colori azzurri e dall’assenza delle nuvole. Ci sono dei bambini che corrono accanto ai loro cani, ci sono dei bagnanti e delle ragazze che stanno sulla sedia a sdraio ad abbeverarsi di raggi solari. E ci sono i miei scatti, instancabili, che catturano le calde promesse di un agosto generoso. Penso a questo per scacciare la malinconia, un vecchio trucco; superare gli stati d’animo negativi rifacendosi alla positività dei giorni migliori. Qualche volta funziona. Ma non sempre. Non oggi. Beatrice se ne è andata, semplicemente. Senza alcun preavviso. Nessuno è stato avvertito della sua repentina uscita di scena, è successo. È bastata una frazione di secondo per cancellare i ricordi di un agosto vicino. Le mie lacrime scandiscono gli stessi ritmi della pioggia; una melodia silenziosa e irregolare, uno spartito che si legge ad occhi chiusi. Altri ricordi affiorano, le parole scambiate in un lontano pomeriggio di un altro settembre.
Se dovesse mai capitare qualcosa, se per qualche motivo un giorno dovessimo separarci, mi piacerebbe che tu mi ricordassi guardando la pioggia cadere: saranno le mie parole per non esserti accanto, per non poterti infilare un dito tra le ciocche dei capelli e prenderti in giro come quando eravamo bambine.
Penso a questo, mentre continuo a fotografare la pioggia cadere.
E, per un istante, il peso sul mio petto sembra svanire.

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Le amiche di Flash

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Non riesco a ricordare quando è accaduto. Forse è stato un momento come gli altri, un giorno senza nuvole in un cielo privo di calore, ricoperto di ovatta e venature di grigio.
Di certo è stato un giorno che ha segnato molti mesi della mia vita perchè quando dovevo ascoltare l’una, il cuore si sentiva dilaniato e, quando dovevo ascoltare l’altra, finiva del tutto di sbriciolarsi come un pezzo di pane bruciato al forno.
Sono parte di me. Un patrimonio che ognuno si costruisce nel corso degli anni. Passando attraverso gli affanni, i momenti felici e quelli meno riusciti. Le parole piene di retorica e i silenzi colmi di significato. Sono le mie due amiche di sempre.
Sono quelle che non si parlano più da tempo immemorabile. È accaduta una frattura, un presumibile sgarbo che la prima ha compiuto nei confronti della seconda, quando l’amore sembrava dover riempire con arazzi d’oro e cremisi le loro rispettive esistenze. Tre giovani donne inseparabili, i moschettieri di Dumas di sesso inequivocabilmente femminile. Nessuna faceva un passo senza avvisare anche l’altra che lo avrebbe fatto. Questo, perlomeno, fino alla… frattura.
«Perchè mi hai chiamata dentro questo parco, Nica? non ci siamo più venute da… da un sacco di tempo, non è così?»
«Si, Isabella, è così. Non ci siamo più venute da quel giorno.»
Le dico, mentre vedo le sue gote avvampare. Sembra un furetto che sta fiutando il pericolo in avvicinamento «però credo sia arrivato il momento di parlarne tra di voi…» aggiungo ancora, facendo un cenno con la mano; da dietro la monumentale quercia accanto alla nostra panchina si fa avanti Valeria.
Non so come terminerà questo giorno. Forse sarà un giorno senza nuvole in un cielo privo di calore, ricoperto di ovatta e venature di grigio, come gli altri. O forse un nuovo raggio di sole spunterà da dietro la collina del parco. Non importa il risultato, l’importante è provarci, sempre.

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Il folletto di Flash

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«Sono belle le tue fotografie. Dico davvero: sei molto brava.»
Il viso magro e pallido, la chioma scura che le ondeggia sulle spalle come disordinati fili sottili di grano bruciato, le gambe magre ricoperte da un paio di jeans sdruciti la fanno sembrare denutrita. Mi chiedo se mangerà regolarmente o se l’ora dei pasti non è altro che un insignificante dettaglio della sua giovane vita. Osserva con attenzione il book che ho lasciato aperto sopra la cattedra dell’aula. Quando la mia amica Patrizia, oggi insegnante di artistica alle scuole medie, mi aveva invitato ad una lezione per darle un supporto pratico sulla fotografia, non credevo di rivedermi negli altri alunni.
«Quelle le ho scattate l’anno scorso a Toronto, sul Lago Ontario. Era un inverno particolarmente freddo e non è stato facile fare il servizio all’aperto, alle prime ore del mattino.»
«Toronto…»
Ripete lei, con uno sguardo tra l’incredulo e il disilluso. Sta lottando; è in quel momento della vita dove l’adulto concreto e privo di fronzoli cerca di scacciare la ragazzina dai mille sogni.
«Mi piacerebbe fare il tuo lavoro, quando uscirò da scuola.»
«Beh, dovresti impegnarti a fondo. Ci vuole parecchia volontà, spirito di sacrificio e anche molta fortuna. Però ne ricaveresti una professione in grado di ripagarti da tutti gli sforzi compiuti.»
La ragazza dai capelli di grano bruciato fissa un punto indefinito sopra la mia spalla destra. «Credo… ci voglia anche qualcosa di più.»
«Di più…? oh si, la mia formula segreta: ci vogliono una manciata di parole magiche. Così, il piccolo folletto salterà giù dalla tua spalla e spruzzerà la sua polvere magica su ogni tuo scatto.»
Il viso si distende e pare recuperare un pizzico del suo colorito; l’adulto concreto può aspettare un altro giorno, la ragazzina dai mille sogni ha deciso di restare a respirare il vento fantastico della giovinezza.

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Flash all’angolo

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Ci sono mattine salutate da un sole alto e luminoso, apparentemente destinate a tramutare il pomeriggio in un astro nascente; privo di nubi scure e dalle promesse di pioggia. Sono il ricordo della sera precedente, di una cena a lume di candela e di due cuori che si stringono l’un l’altro.
Le serate si dovrebbero concludere sempre in questo modo, per permetterti di nuotare nel mare calmo della notte e di trovare nel buio del sonno un alleato ai bisogni dell’anima.
Poi il mattino sfuma e si dissolve nel respiro della bocca di un gigante, aperta a respirare l’aria circondata dal gelido inverno.
Cambia il tempo; la piacevole temperatura conservata dalle coperte viene spazzata via da un vento impetuoso. Le richieste pressanti dei superiori al giornale, il doversi sdoppiare e triplicare per coprire i servizi – a volte, un attimo di tregua, è l’utopia illusoria di una bandiera bianca davanti a un nemico daltonico – , le pause caffè prese al volo, per affrontare una pausa pranzo puntualmente saltata. La cioccolata del distributore automatico, per superare il pomeriggio con gli zuccheri necessari. E a fine giornata di corsa dal meccanico, per recuperare le due ruote che mi riporteranno tra le mura domestiche. La borsa piena di filtri da controllare e sostituire con quelli del mattino dopo, la scheda di memoria della digitale da svuotare nei diversi hard disk del computer. Finchè tocca alle bollette e, dopo qualche rapido conteggio, diventano autentici salassi per le mie entrate, prossime a diventare delle sottrazioni. Il peso della quotidianità schiaccia, ti senti all’angolo come una boxer suonata, prossima a raccogliere la spugna. Appoggio le spalle al muro e i pezzi di carta pendono dalle mani come foglie morte. Ho voglia di cenare con Peter.
Le serate si dovrebbero concludere sempre in questo modo, per permetterti di nuotare nel mare calmo della notte e di trovare nel buio del sonno un alleato ai bisogni dell’anima.

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